lunedì 27 agosto 2007

Nel girone dei...

Inizia la marcia di avvicinamento verso la Cina. Prevedo due tappe. Prima tappa: Osh - Sary Tash, 184 km. Seconda tappa: Sary Tash - Kashgar (Cina), circa 300 km.

Osh, ore 10.30. Salgo su una vecchia Lada guidata da un ragazzo poco piu' che diciottene. La partenza da Osh avviene a rilento. Il distributore di benzina scelto per il rifornimento ha finito il carburante; il ragazzo opta quindi per l'acquisto di 2 taniche da 5 litri, acquistate da un rivenditore a bordo strada (pratica abbastanza comune qui in Kirgyzstan: la benzina si vende in grossi bottoglioni che prima contenevano acqua). Poi si ferma in un quartiere periferico per caricare altri passeggeri. Alla fine di tutto la macchina risulta cosi popolata. Davanti: ragazzino-autista piu' un papa' che tiene in braccio un bambino di 8 anni con la gamba ingessata. Dietro: alla sinistra, nonno con in braccio la nipotina di 5 anni, io al centro e sulla destra un altro uomo kirghiso. Sette persone in una piccola Lada!

I 184 kilometri fino a Sary Tash sono insidiosi: la strada e' sterrata e ci sono molte buche; si viaggia a non piu' di 40 all' ora. Non e' ancora mezzogiorno che gia' ci fermiamo a pranzo; zuppa e the per tutti.

Il viaggio continua ad andatura molto molto tranquilla. Lentamente ci avviciniamo ad un passo di montagna a 3900 metri di quota, il pezzo forte del tragitto. All' inizio della salita ci fermiamo ad un minuscolo caffe' per una breve sosta. Il papa' del bambino con la gamba ingessata insiste per un giro di vodka. Ok. Un decilitro bevuto tutto d'un fiato accompagnato da una pallina bianca (la variante kirghisa del chupito): formaggio di capra essiccato. Si riparte e ben presto la Lada inizia a dare i primi segni di sofferenza; c'e' bisogno di acqua per raffreddare il motore. Mentre il ragazzino riempie bottiglie di plastica con l'acqua presa da un vicino torrente e la riversa nella Lada, il papa' taglia il fondo di una altra bottiglia e la trasforma in un improvvisato bicchiere. Aperto quindi un vano nel cruscotto, spunta una bottiglia di vodka ancora sigillata. Altro giro: sorsate di vodka e pezzi di plumcake, stavolta.

Nell' ascesa verso il passo la Lada si fermera', bollente, altre 5 volte, e il copione e' sempre lo stesso: acqua alla Lada, vodka per gli altri. Raggiunta la vetta (splendido panorama), la bottiglia e' vuota, terminata da me, il papa' ed il nonno. Ora non resta che scendere: ho il sedere a pezzi, le gambe anchilosate, poiche' costantemente ripiegate ad angolo fortemente acuto, e sono un po' sbronzetto.

Arriviamo a Sary Tash, case sparse e un migliaio di anime, verso le 17, dopo quasi 10 ore di viaggio. La vista sui monti innevati del Pamir e' splendida: il Pik Lenin (7100 m) spunta prepotente mostrandoci la sua testa incappucciata di bianco. Il paese si trova all' inizio di un ampia valle che per oltre 150 km si snoda in parallelo al confine con il Tajikistan, delimitato appunto a sud, dalla maestosa catena montagnosa del Pamir. Da Sary Tash e' possibile avventurarsi in 3 direzioni: verso ovest, percorrendo per il lungo la valle; verso sud, tagliando la catena del Pamir e scollinando a 4900 metri, per raggiungere l'altopiano tagiko; verso est, in direzione Cina. Quest'ultima sara' la mia strada.

Saluto calorosamente la Lada e tutti i passeggeri e mi sistemo per la notte in un piccolo caffe'/bottega che dispone di due stanzoni per accogliere i viaggiatori. Sul retro della casa c'e' gia' un gruppo di 10 ciclisti che si stanno raccontando le proprie imprese: c'e' pure una coppia di "nervosi" inglesi in tandem, diretti in Tibet; arrivano quasi tutti dal Tajikistan e molti sono diretti, come me, in Cina. Poso la zaino nello stanzone e ritorno nella bottega dove mi imbatto nuovamente nei tassisti che avevano dormito insieme a me a Osh la notte precedente. Sono strafelici di vedermi; mi accolgono urlando "mafia!" mentre io mimo una smitragliata e mi danno forti pacche sulla schiena. "Rene' entra! Vodka!"

All' interno del locale ci sono altre tre persone e c'e' gia' un forte puzzo d'alcol. I tassisti raccontano animatamente che ieri notte hanno condiviso la camera con me; io ne abbraccio uno e mi rivolgo agli altri "lui e' Sexman!" e faccio il gesto dell'ombrello. Delirio. La stanza si riempie del frastuono delle risate, i calici si alzano e i bicchieri battono con forza sul tavolo di legno. Sono in discesa libera: scattano brindisi alla frattelanza italo-kirghisa, a Gattuso (sempre Terrorist), a Sexman, ai tassisti, ecc. Sul tavolo compare un melone, rapidamente affettato e distribuito. Mangio e ciuccio avidamente il succo, per spegnere l'incendio che la vodka mi sta causando in gola. Entrano anche alcuni ciclisti che vengono subito braccati e invitati al tavolo: chi riesce si dilegua; la coppia in tandem resta intrappolata nella rete di brindisi.

Il tavolo e' un campo di battaglia gocciolante alcol e melone; sul terreno restano 3 bottiglie vuote (una offerta da me), alcuni feriti e un morto (io). Facciamo una foto di gruppo dopodiche' i tassisti partono verso casa (o un altro bar?).

Intanto Dinara, la ragazzina che gestisce la bottega, ha preparato la cena: patate bollite con sugo di pomodoro. Ne addento due ma sono ben presto costretto ad alzare bandiera bianca. Esco barcollante dal caffe' e raggiungo lo stanzone, srotolo il sacco a pelo, mi ci infilo per bene e mi preparo a una notte tremenda. Sono solo le otto e il mondo ha iniziato a girare vorticosamente. Ogni tanto pero' si ferma e mi permette di correre verso l'esterno con una mano premuta sulla bocca. Aggrappato a uno steccato di legno a fianco della porta di ingresso - piedi nudi, in boxer, t-shirt e felpa con cappuccio - cerco di liberarmi dall' eccesso di alcol. Intorno a me alcuni cani mi fissano incuriositi; io gli rispondo con occhi pallati e boccate di rigetto.

La notte e' buia e fredda a 3000 metri e molto probabilmente c'e' un emozionante cielo puntato di stelle.

Rene'

venerdì 24 agosto 2007

Di nuovo in marcia

Dopo avere adeguatamente riposato il fisico e infangato le scarpe al mercato domenicale del bestiame di Karakol (difficile schivare le numerose cacche di pecore, capre, cavalli, mucche e maiali, sotto una pioggia leggera ma costante) e' giunto il momento di riprendere il cammino. Stanco di dovere contrattare con tassisti e autisti di minibus una tariffa corretta, decido di imbarcarmi su un bus diretto a Bishkek, capitale kirghisa. Il viaggio si rivela uno stillicidio poiche' il pullman si ferma ogni qualvolta, lungo la strada, qualcuno agita un braccio e vuole salire. Copriamo una distanza di 380 km in 9 ore!
A Bishkek passo un paio di giorni alla Nomads Home, una villetta in quartiere residenziale della citta' che d'estate si trasforma in un covo di viaggiatori. Questa volta e' un famiglia kirghisa ad avere stravolto la propria casa per poter ospitare i turisti. Nel giardino hanno trovato persino lo spazio per due yurte! Alla sera, sotto la veranda si discute e si ascoltano storie di viaggio, schiarendosi la gola con dosi di birra ghiacciata. Da un angolo del tavolo, Angelina Jolie ci osserva, stampata sull' etichetta di un vino rosso di produzione kirghisa; l'ho assaggiato/a, dolcissima e nauseabonda; e' la pratica di iniziazione dei "nomads".
Nella capitale approfitto per fare rifornimento in un supermercato; e' il primo che vedo in Kirgyzstan. Compro la crema di cacao e nocciole Nussa, di produzione tedesca, e abbandono la troppo dolce Bisella (turca). Poco lontano, al bazar principale, e' un abbondare di vestiti contraffatti, dvd che contengono 9 film (?!), cassette, cellulari e accessori, frutta e verdura; le solite cose insomma. Mi balza all' occhio il fatto che, in Kirgyzstan, il 90% delle persone che ha fatto la spesa utilizza un sacchetto di plastica blu con la scritta "Aygen Collection, Styled in Italy": ma che e'? Guerrilla Marketing? Ho fatto una ricerca su Google ma non e' saltato fuori nulla. Il mistero si infittisce...
Bishkek e' una citta abbastanza verde, con viali alberati, poco o nulla di storico o di rimarchevole, se non alcuni edifici governativi, qualche statua, un parco giochi con attrazioni arrugginite (consigliata una vaccinazione antitetanica) e un museo di Storia che al secondo piano celebra il periodo sovietico con innumerevoli memorabilia della Propaganda Rossa e al terzo si occupa di storia kirghisa: utensili in metallo, oggetti scolpiti nel legno, la ricostruzione di una yurta e vestiti tradizionali: e' tutta qui la storia del Paese?
Ben presto sono di nuovo in strada. Ritorno a Osh, il mio punto di ingresso in Kirghyzstan, oltre due settimane fa. Da Bishkek sono 680 km. Per fortuna e' l'unica strada del Paese in buone condizioni ed il viaggio, anche se sono compresso nel mezzo del sedile posteriore di una Audi 80, non si rivela problematico. Sergiej, il giovane russo alla mia sinistra, vorrebbe attaccare bottone ma il mio vocabolario e' ancora troppo limitato. Partito in mattinata arrivo alle prime luci della sera a Osh; non ho molta fame e mi limito a mangiucchiare un po' d'uva e due mele.
Dopo due settimane di clima fresco ritorno ad avere caldo: mi trovo in pianura e le montagne sono lontane. L'aria nella stanza dell' Hotel Bazar e' pesante. Apro la finestra e mi distendo su uno dei tre letti, sfogliando Il Nudo e il Morto di Mailer, in lingua tedesca, un reperto di 1000 pagine che ho trovato nella guesthouse a Karakol. Sono ormai le undici quando irrompe un terzetto chiassoso di uomini kirghisi: sono dei tassisti e trasudano alcol. Il piu' piccolo mi porge subito una ciotola di vodka di benvenuto e mi ammonisce perche' non riesco a berla tutta d'un fiato. Socializziamo, come spesso e' accaduto in Asia Centrale, ripassando la formazione dell' Italia Mondiale. Secondo loro Gattuso e' senza dubbio un "Terrorist". In cuor mio penso di essere fottuto. Ecco, hai voluto la camera piu' economica di Osh? Ora ti ritrovi in stanza due tassisti mezzi sbronzi - uno smilzo (ribattezzato Sexman) e un panzone - come Stanlio e Ollio e magari ti spazzano anche i soldi mentre dormi! Grazie al cielo non la tiriamo lunga; sono stanchi e hanno guidato tutto il giorno. Ben presto me li ritrovo in mutande e stanotte non saranno le zanzare a molestarmi, ma un persistente, animalesco, rumoroso, ronfare.
Rene'

giovedì 23 agosto 2007

C'era una volta la Russia

L'escursione ha lasciato le sue traccie e allora quale miglior rimedio se non quello di passare alcuni giorni nei pressi del secondo lago alpino piu' grande al mondo? Eccomi quindi a Karakol, un paesotto di circa centomila abitanti non lontano dalle sponde del lago Issik Kul. Si sta decisamente bene: non fa troppo freddo, come di notte nelle yurte, non e' troppo caldo, come nelle citta'-forno uzbeke. E c'e' finalmente una doccia con acqua quasi calda; che bello potersi sentire puliti!
Alloggio al Yak Tours Hostel, che di nome potrebbe sembrare un ostello, ma di fatto e' una casa di una famiglia russa, i cui componenti potrebbero uscire da I Miserabili di Victor Hugo: un capo, Viktor, intraprendente sessantenne quasi sempre assente perche' porta con ogni mezzo i turisti su per le montagne a ridosso della citta': a piedi, coi quad, con delle scassate jeep di produzione russa; un gestore, anche lui sui sessanta, di cui non so il nome, che si aggira spettrale per il cortile ed il cui unico compito e' quello di aprire la porta quando suona il campanello, chiederti da quale Paese provieni e dirti che il prezzo del letto e' 250 som (5 euro); una arzilla nonnetta, Babalina, occhiali con spesse lenti, sempre indaffarata in cucina a preparare colazioni, pranzi e cene per gli ospiti; un figlio, che passa la giornata seduto su una panchina in cortile, sguardo basso e mani tremanti. Hanno trasformato la loro casa in una pensione per viaggiatori, disseminando letti ovunque, tranne nel soggiorno, dove, come ultima necessita', c'e' un divano letto per il turista dell' ultima ora. E' divertente perche' non hanno trasformato le stanze in camere da letto: hanno mantenuto tutto l'arredo originario, aggiundendo i letti. Quindi ti puo' capitare di dormire accanto ad un pianforte, al caminetto o presso la dispensa delle stoviglie. E' una vecchia casa russa a due piani, tutta in legno, con molti tappeti, drappi, tende, quadri e qualche animale impagliato (ho usato le corna di una capra di montagna per appendere i miei vestiti): decisamente troppo arredata! Di fronte alla casa, oltre il cortile, c'e' una vecchia stalla, anche essa trasformata in ostello, dove hanno ricavato due dormitori. Nel loro piccolo giardino i piu' squattrinati possono piantare una tenda, come hanno fatto due ragazzi in viaggio in macchina dall' Inghilterra alla Mongolia. All' interno della casa regna un buio fitto e bisogna tenere le luci sempre accese; le finestre e la casa intera sono ricoperte da un fitto strato di edera.
A Karakol regna una atmosfera strana: in citta' ci dovrebbero essere quasi centomila abitanti, ma dove sono? In strada si vedono poche persone; auto, solo sulle arterie principali; un poco di animazione? Al mercato. Depressa, stanca, spenta, sconsolata, sono tutti aggettivi che potrebbero calzarle bene. Oppure un poco triste, come la coscia di pollo che naviga solitaria nella mia zuppa allo Zarina Cafe', dove ci sono degli antri nei muri, nascosti da una tenda, che fungono da salette private, per riempirsi di vodka lontano da occhi curiosi, e alla radio trasmettono Mamma Maria dei Ricchi e Poveri... ma dove sono finito?
Nonostante tutto, Karakol mi piace. Non c'e' un cacchio da fare e ho tempo per rilassarmi e leggere. Vado in banca, alla posta, spedisco un pacchetto a casa (arrivera'?), porto i vestiti a lavare, li stendo nel cortile, cerco un barbiere, non lo trovo; scrivo molto. Mi ambiente e divento quasi uno di loro. Quasi. Ancora non mi vesto con vestiti militari, ho una andatura incerta, una faccia paonazza e scavata da profonde rughe, come certi russi che sembra che abbiano appena sparato all' orso piu' gigante del Kirghistan. Cosi mi sono sempre immaginato i bracconieri.
Karakol e' una citta' in gran parte russa: c'e' una attiva chiesa ortodossa, dove ho visto celebrare un matrimonio; tante piccole casette di legno, dalle vernici sbiadite e scrostate; locali come il Zarina Cafe' che sembrano trapiantati dalla Siberia e questi russi trasandati dal look militare. Tutto ti fa pensare che qui, una volta, era meglio. Nei parchi pubblici l'erba arriva al ginocchio, come nei giardini di certe case; solo le strade principali sono asfaltate, il resto e terriccio e buche; i pochi condomini hanno lunghe e preoccupanti crepe. Degli abitanti, chi sta messo peggio raccoglie le bottiglie di vodka e le porta ai centri di raccolta, per qualche spicciolo; chi sta bene, accoglie turisti e organizza escursioni. Dopo l'indipendenza del Paese, qualcosa deve avere travolto i russi di questa citta'. I kirghisi hanno in mano i negozi, guidano i minibus, fanno gli agricoltori nelle campagne circostanti o si dedicano alla pastorizia nei monti; commerciano. Ai russi resta la nostalgia e quella bottiglia di vodka sempre vuota in mano. Un tempo c'era l'esercito sovietico, a presidiare il confine strategico con la Cina, c'era una guargione, c'era vita. La mia guida descrive l'albergo Karakol come il regno dell' alcol e della prostituzione; lo cerco. E' chiuso e sta cadendo a pezzi.
Di notte si alza spesso un fresco vento, scende dai monti innevati che sovrastano la citta'; c'e' poca luce, il traffico si ferma e i cani iniziano il loro nervoso concerto notturno; anche Zarina, nel suo caffe', non si attarda a spegnere quella strana radio.
Rene'

sabato 18 agosto 2007

L'escursione a cavallo

Non si puo' lasciare il Kirghizstan senza avere fatto una escursione a cavallo. Qui la tradizione equestre e' molto forte; il popolo kirghiso e' stato quasi sempre costituito da gruppi di nomadi, in costante spostamento alla ricerca dei pascoli migliori per il proprio bestiame; il cavallo costituiva, e tuttora rappresenta, il mezzo di spostamento migliore sui monti e nelle vallate alpine.
Organizzo quindi una escursione insieme a Raul, il pianista francese che ho incontrato a Osh qualche giorno fa. Decidiamo di cavalcare fino a Song Kol, uno splendido lago a 3500 metri di altezza. Staremo in sella per 2 giorni.
Il primo giorno partiamo verso mezzogiorno. Per due ore avanziamo in pianura, in mezzo a campi di erba gialla alta almeno un metro. Poi il sentiero inzia a costeggiare il fiume e quindi si inerpica sul fianco di una montagna. Il panorama intorno a noi e' molto verde: i monti sono ricoperti da pascoli di erba fresca e non c'e' altro tipo di vegetazione in vista. Probabilmente abbiamo gia' superato la quota limite oltre alla quale non crescono piu' alberi.
Con l'avanzare della giornata i sorrisi e l'eccitazione pre-partenza lasciano il posto ad una silenziosa sopportazione: scopro di essere allergico anche ai cavalli! Passo il tempo a starnutire e a soffiarmi il naso. Benedico il rotolo di carta igienica che mi sono portato appresso nella borsa a tracolla.
Alla prima sosta approfitto per darmi una pompata di Ventolin e mi riapro i bronchi. Oltre al respiro affannoso, l'andatura ritmica del cavallo consuma la pelle del mio sedere che e' un piacere... Mettiamoci anche lo sciame di insetti volanti che ronzano in continuazione intorno al viso... un calvario, insomma!
Ci fermiano, con mio grande piacere, intorno alle cinque del pomeriggio presso un campo di yurte, a meta' strada tra il fondovalle e il lago. Passo il resto della giornata a camminare sui monti intorno alle yurte, tra greggi di pecore e cavalli allo stato brado. In serata veniamo raggiunti da una coppia di austriaci che hanno seguito il nostro stesso percorso, ma a piedi. Ceniamo a base di zuppa, the e tanto pane. Subito dopo il pasto, la signora che ha preparato da mangiare prepara i nostri giacigli all' interno della yurta. Dormiremo sopra e sotto uno spesso strato di coperte. La temperatura cade a picco e passa velocemente da 25 gradi a 10 scarsi. Ci perdiamo con lo sguardo in questa spettacolare notte d'alta montagna e contiamo eccitati un gran numero di stelle cadenti.
Ci alziamo tutti di buon'ora e dopo una robusta colazione a base di riso-latte (bleah) e marmellata (slurp) si torna in sella. I dolori al sedere iniziano subito, aggravati dalla strada in salita verso il passo di montagna. Dopo avere scollinato il sentiero non e' piu' ripido, ma scende dolcemente verso il lago, che si inizia a intravedere il lontananza. Il mio cavallo, per ragioni che ignoro, inizia a questo punto una deviazione che mi porta a cavalcare ad alcune centinaia di metri rispetto al resto del gruppo; a nulla servono i fischi e i richiami della guida; continua solitario per la sua strada.
A mezzogiorno ci fermiamo in un campo di yurte per il pranzo; ci servono del riso (plov) ed una insalata di cetrioli e pomodori: mangio tutto.
La sosta e' breve. Ci aspettano ancora 3 ore di marcia.
Accade quello che NON doveva accadere: un attacco acuto di sciolta. E capita nel posto meno congeniale: una vasta pianura, erba e pascoli a perdita d'occhio, niente che possa somigliare ad un riparo - una roccia, un albero, un avvallamento, una buca - in vista. Mi lascio ricadere in fondo al gruppo e balzo senza esitazione giu' dal cavallo, mi sfilo i pantaloni e affondo nell' erba: liberazione! E mentre io mi contorco, l'equino bruca tranquillamente l'erbetta a qualche metro da me...
Ritornato in sella, torno in timido galoppo verso il gruppo; Raul e l'accompagnatore sorridono; hanno capito tutto.
Arriviamo prima del previsto al campo di yurte che ci ospitera' per la notte. Il lago e' a pochi passi da noi, splendido, blu, vasto, ghiacciato. Tutto intorno una corona di montagne, le cui cime si perdono in una leggera foschia pomeridiana.
Due giorno a cavallo e una notte in yurta mi fanno sentire un poco sporco ed appicicaticcio. Prendo sapone e asciugamano e mi avvio deciso verso il lago. Immergo i piedi e l'acqua mi punge come un ago. Prendo lentamente confidenza e culmino la mia esperienza sfilandomi le mutande e immergendomi completamente, dopo essermi dato una bella insaponata. Rinasco.
Raul e Michael (il trekker austriaco) mi imitano e ci sentiamo tutti piu' puliti.
Ci rilassiamo nella yurta e attendiamo la cena, un bel brodazzo a base di carote e patate. Lo appesantisco con tocchi di pane. Fuori intanto scende il silenzio mentre il sole tramonta oltre le montagne. Fa molto piu' freddo rispetto a ieri. Non e' piu' tempo di chiaccherate sotto le stelle. Il vento e' una lama affilata. Ci rintaniamo tutti (io, Raul e una coppia di giovani francesi) sotto le coperte a lume di candela e cerchiamo di ammazzare il tempo. Sono le nove di sera.
Rene'

Guardate come ero spiritoso prima dell' imprevisto!
(ho caricato altri video - cliccate il link nel menu di destra)

martedì 14 agosto 2007

On the road!

Spostarsi in Kirghiztan non e' facile. Un'unica strada asfaltata in buone condizioni collega le due maggiori citta', Bishkek, la capitale, ad Osh, nella valle di Fergana. Il resto della rete stradale e' costituito da carreggiate semi asfaltate e polverose, con buche insidiose e sassi sempre in agguato. Quando si sale verso le montagne, l'asfalto lascia il posto allo sterrato. Nonostante tali insidie di jeep in circolazione ce ne sono poche. La vecchia Lada e' la macchina piu' diffusa, messa a dura prova dalla strada e dal carico eccessivo che e' costretta a sopportare: se non sono le classiche 5 persone, compresse spalla a spalla nell' abitacolo, sono le pecore, che soppravvivono anche a bagagliaio chiuso, oppure carichi di meloni ed angurie che occupano tutto lo spazio libero oltre al posto di guida!
In giro si avvistano anche alcune Ziguli, ormai pezzi da museo, mentre si sta diffondendo, come in Kazakistan, l'utilizzo della macchina di quinta mano tedesca, con Audi 80 e Mercedes 200 tra le piu' diffuse. Queste ultime sfrecciano indiavolate sulla Bishkek-Osh, sverniciando le povere Lada e i sovraccarichi Minibus. I guidatori sfruttano al massimo la "pista" lunga 680 km, tagliando ogni curva, ove possibile naturalmente, e cimentandosi in arditi sorpassi. Un doppio colpo di abbaglianti delle macchine che viaggiano nel senso opposto molto spesso significa "ehi, datti una calmata!". Un brivido lungo 8 ore, due passi alpini a oltre 3000 metri, innumerevoli curve a gomito, pneumatici stridenti e 16 euro di biglietto.
Io e Raul, il mio compagno di viaggio francese, insegnante di pianoforte a Strasburgo, ci imbarchiamo a Osh su una Mercedes 200 nera, diretti a Bishkek. Il viaggio procede tra pennichelle difficoltose (mancano i poggiatesta) e soste per acquisto di angurie e latte di cavalla fermentato (specialita' locale, leggermente alcolica), pranzo, rinfresco in un torrente di montagna. Dopo 6 ore, lo scollinamento oltre un passo a 3100 metri offre panorami splendidi. Decidiamo di scendere ad una biforcazione della strada per una valle laterale: l'ambiente e' pacifico e invita alla sosta. Molto meglio che arrivare verso le 21 a Bishkek e dover cercare ancora un alloggio nella popolosa (1,7 milioni di abitanti) capitale kirghisa.
Attendiamo una buona mezz'ora un passaggio in macchina verso Suusamir, la nostra destinazione; mentre sulla Osh-Bishkek il traffico e' frequente e costante, sembra che nessuno si voglia avventurare nella strada laterale. Alla fine riusciamo a salire su una vecchia Passat e capiamo fin da subito le avversita' delle strade minori: la carreggiata diventa subito sterrata ed e' piena di buche. Si viaggia intorno ai 30 km all' ora. Buchiamo anche una gomma, prontamente sostituita dal nostro autista, evidentemente abituato a tali inconvenienti. Per fortuna fino a Suusamir sono solo 16 km!
Arriviamo che sono passate da poco le 19. Il sole sta tramontando e la luce si va affievolendo. Per la prima volta da quando sono partito estraggo una felpa dallo zaino. Fa fresco, non ci saranno piu' di 15 gradi; siamo poco sotto i 3000 metri, in un villaggio di pastori; poche case, allineate lungo la strada principale, muggiti e belati in lontananza. Fermiamo un ragazzo in bicicletta e chiediamo se c'e' un albergo; risponde "si, esiste, ma non ci sono le chiavi e il custode abita a parecchi km da qui"; scopriamo poi che l'albergo in realta' e' la scuola del paese. Il ragazzo (che parla un poco l'inglese!) ci dice di aspettare e svanisce nella sera con la sua bici. Ritorna dopo 30 min. e ci fa segno di seguirlo: lui e sua mamma saranno lieti di ospitarci.
La casa e' piccolina e molto dignitosa, tutta di legno, dal tetto spiovente e appuntito, colorata di bianco all' esterno e con i bordi delle finestre celesti. Nel giardino pascolano due mucche, alcune pecore e qualche gallina, oltre all' immancabile cane di guardia. Ceniamo a base di pane, burro, panna e marmellata, sorseggiando abbondante the'. Chiudiamo il pasto sgranocchiando dei bigne' fritti, una specialita' kirghisa. Raul parla un poco di russo e cio' facilita' la conversazione, ora mista russa-inglese. Prima di andare a letto il ragazzo ci offre un saggio artistico di chitarra kirghisa, utilizzando un piccolo strumento di legno che dice di avere costruito con le sue mani. Eccezionale!
La notte passa benissimo e al mattino siamo gia' attivi di buon'ora. Una botta di acqua ghiacciata in faccia e una visita alla latrina in fondo al giardino (da farsi in apnea): pronti a partire. Salutiamo a grandi sorrisi la mamma ed il ragazzo e chiediamo il costo del nostro B&B. Non vogliono nulla! Cavolo, siamo piacevolemente sorpresi; non ce l'aspettavamo. Ringraziamo ulteriormente e ritorniamo sulla strada principale, in attesa di un nuovo passaggio verso la nostra successiva destinanzione, Kochkor, 130 km a est di Suusamir.
Dopo oltre 40 min. di attesa si ferma il primo veicolo: sono una coppia di turisti polacchi! Stanno viaggiando su una autoambulanza riconvertita a camper. Maciej, 40 anni con un passato di autostoppista in giro per il mondo, ci spiega di avere acquistato il mezzo in Austria, dove appunto serviva da ambulanza in un paese di montagna; Mercedes, trazione 4x4. Ha lavorato quasi un anno per metterlo a posto, creando la zona notte e una piccola cucina e a inizio luglio e' partito con Maja, la sua compagna, da Poznan. Ci accuciamo sui letti; iniziano le danze sul ruvido sterrato.
Maja e' alla ricerca di suo nonno, un militare kirghiso di stanza in Francia nel corso della seconda guerra mondiale. Al termine del conflitto, dopo avere dato i natali alla madre di Maja, e' sparito senza lasciare traccie, se non alcune sporadiche lettere. Maja ci mostra alcune fotografie del nonno da giovane e le lettere. Ci racconta che dovrebbe abitare nei pressi di Osh e, se non e' deceduto, avere 87 anni. Una storia affascinante, come affascinante e' Maja, lunghi capelli castani, sempre sorridente, modi gentili e un fisico mozzafiato.
Dimenticando lo sterrato e le buche, il viaggio e' molto gradevole. Alle 10.30 facciamo la prima sosta, approfittando dell' incontro con un ciclista svizzero. Maja prepara caffe' per tutti e allunga biscotti, noci e miele. Maciej, invece, estrae dal retro del camper la biografia di un ciclista polacco che ha attraversato l'Africa in solitaria da Nord a Sud negli anni Trenta, morto poi di malaria l'anno successivo il rientro in patria. Sogna di tradurre il libro in inglese e di diffondere nel mondo la storia dell' intrepido ciclista, tuttora poco conosciuto nella stessa Polonia.
Salutato il ciclista continuiamo la marcia fermandoci di tanto in tanto per fotografare i paesaggi: all' inizio si viaggia in una stretta valle, ai margini di un fiume a tratti impetuoso, poi lentamente la valle si apre, lasciando spazio ad ampi verdi pascoli e ad un paesaggio piu' dolce, fatto di montagne meno aspre. Nel primo pomeriggio avvistiamo e carichiamo una coppia di giovani francesi di ritorno da un trekking di alcuni giorni. Fermi a bordo strada attendono un passaggio per Kochkor. Maciej e' felicissimo di avere cosi tante persone a bordo!
Intorno alle 16 ci fermiamo nuovamente perche' questa volta e' l'ora del pranzo: Maja sforna un risotto alle verdure delizioso e Maciej dispensa birre fredde e un Cabernet Sauvignon californiano. Senza parole! Io e Raul siamo certi del fatto di avere avuto un grosso culo. La strada da Suusamir a Kochkor e' veramente brutta e poco trafficata; i paesi sono distanti decine di km l'uno dall' altro e per lunghi tratti, anche di un'ora, non abbiamo incrociato nessun altro mezzo. Siamo stati veramente fortunati a trovare questo passaggio.
Arriviamo satolli alle 18 a Kochkor, manco fosse un viaggio organizzato; salutiamo calorosamente Maciej e affettuosamente Maja. Ben presto il loro furgone si disperde in una nuvola di polvere.
Rene'

domenica 12 agosto 2007

Fergana Valley

Fergana Valley, ovvero, la valle che non si vede. I monti che la circondano sono talmente distanti che non se ne percepisce manco l'esistenza. Il clima gradevole l'ha resa la "valle degli orti" dell' asia centrale, condivisa da Uzbekistan e Kirghistan. Tutta la frutta, le verdure, il cotone, provengono da qui.
Anche io ho approfittato del clima mite e addirittura di qualche scroscio d'acqua dopo le sudate patite a Samarcanda e Bukhara.
Prima di arrivare a Fergana sono stato due giorni a Tashkent, la capitale uzbeka, per recarmi all' ambasciata indiana (volevo fare il visto) e sentirmi dire che il visto e' meglio se lo faccio in Pakistan, perche' alla frontiera tra Cina e Pakistan, con un visto indiano sul passaporto, potrebbero sorgere dei problemi... mah... E' sempre colpa dei pakistani, assicura il diplomatico indiano dell' ambasciata. Guerra fredda perenne.
Non e' stato facile lasciare Tashkent, oltre 2 milioni di abitanti su una superficie molto estesa: ci ho messo oltre 2 ore e 30 minuti, piu' la gentile collaborazione di una ragazza, per trovare il punto di partenza dei taxi per Fergana. Consultando la mia guida di viaggio mi ero recato erroneamente nella parte opposta della citta'...
L'arrivo a Fergana, dopo 4 ore di auto, e' gradevole e la permanenza in citta' altrettanto: clima mite, come vi dicevo, stanza singola con bagno e doccia calda al 5 piano di un decrepito (grosse crepe) albergo soviet style, un ottimo bazaar per fare provviste alimentari (mi sono mangiato un enorme melone) e l'incontro con Shah, impiegato in un internet cafe' che mi ha accompagnato una sera alla scoperta della citta'. Non ancora ventenne, mi racconta che ha piacere a passare un poco di tempo con i turisti per praticare il suo inglese, che sta studiando da solo, perche' a scuola lo insegnano poco e male. Davvero una buona parlata, per essere un autodidatta! Mi racconta di tutte le persone che ha conosciuto nell' internet cafe', anche parecchi italiani.
Da Fergana, dove resto due giorni, il passaggio al Kirghistan e' breve: due cambi di minibus e dopo 2 ore scarse arrivo ad Osh e sposto la lancietta dell' orologio avanti di un'ora. Qui opto per la sistemazione piu' economica consigliata della guida: un appartamento trasformato in mini ostello, con posto per 7 persone; conosco Simon (svizzero) e Raul (francese) appena giunti dal Tajikistan. Mi spiegano subito il giro del fumo: non c'e' acqua corrente a causa di un acquazzone abbattutosi la passata giornata ed il ragazzo che cura l'appartamento si assenta 5 volte al giorno per andare a pregare in moschea. Di fatti, usciti insieme a cena, siamo restati chiusi fuori e abbiamo dovuto attendere il ritorno del ragazzo! Simon e Raul han gia' le scatole piene dell' andazzo e aggiungiamoci anche lo sciame di zanzare notturne, il concerto-latrato dei cani di periferia, la pulizia sommaria dell' appartamento (il frigorifero diventato luogo di riproduzione delle mosche) tanto basta per cambiare sistemazione il giorno successivo.
Passiamo quindi in tre ad occupare una stanza in un albergo nei pressi del bazaar: paghiamo di meno ed il bagno e la doccia sono puliti!
Il luogo piu' bello di Osh e' sicuramente il bazaar, un labirinto di viuzze che occupano un quartiere della citta', brulicante di vita e chiassoso. Impressionate la "zona alimenti" con montagne di arachidi, abbondare di frutta, mezzi montoni ancora gocciolanti sangue e pile di pani rotondi, della forma di un piatto. Approfitto per farmi una scorpacciata di uva, fichi e pesche.
A Osh consumo anche il primo piatto di spaghetti! Molto lunghi e spessi, quasi come un bucatino, ma senza il buco, di pasta fresca, fatti saltare in padella, con un mix di verdure (zucchine, peperoni, melanzane, pomodori) e un poco di carne sminuzzata. Gustosi! Peccato che mi sono rovinato un poco la bella esperienza perche', entrando nel locale, ho inavvertitamente calciato una brocca di vetro, mandandola in frantumi (il gesto mi e' costato piu' di una notte in albergo!).
Beh, oltre a questo, Osh e' decisamente una citta' economica: l'albergo (stanza in condivisione), 2 pasti e alcune birre non mi sono costati piu' di 10 euro!
Rene'.

PS: finalmente, in Kirghistan, riesco a leggere i commenti al blog! Sono davvero tanti e molto belli: grazie, grazie, grazie!
Nella sezione dei link, sulla destra, ho aggiunto i collegamenti diretti alle foto e ai video del viaggio: have a look!

giovedì 2 agosto 2007

Lungo la Via della Seta

Questo e' il racconto di una settimana uzbeka.
Meritano di essere spese alcune parole su questo Paese.
Primo. Posso aggiornare il blog, posso scrivere, ma non posso leggere cio' che ho pubblicato. La home page del blog e' oscurata! I media sono controllati dal regime, che dovrebbe essere democratico, ma di fatto esiste un unico partito ed una unica famiglia che comanda. Non esiste un giornale in lingua inglese e adesso che ci penso un po' meglio, non ho neanche visto in giro molte persone leggere un quotidiano. Il fatto che io non possa vedere il blog mi impedisce anche di leggere i commenti che mi lasciate...
Secondo. La Daewoo copre oltre il 90% del parco macchine uzbeko, principalmente con i modelli Nexia (taxi a lungo raggio), Matiz (taxi di citta'), Damas (minibus/taxi collettivo). Ci sono poi dei modelli piu' vecchi, anni settanta/ottanta, da paura, che cadono a pezzi. Non ho visto auto di altre marche se non qualche Audi. In Kazakistan invece le auto tedesche di quinta mano la facevano da padrone (Mercedes 190 e 200, Audio 80, Golf di tutte le serie, Opel Kadett).
Terzo. L'Uzbekistan e' il secondo produttore mondiale di cotone. L'economia del Kazakistan e' basata sul petrolio. C'e' una certa differenza: i kazaki sono piu' allegri e simpatici; i mega poster del Presidente kazako, appesi in prossimita' delle citta', danno il benvenuto nel "Paese che progredisce..."
Quarto. In Uzbekistan, 3 negozi su 5 sono farmacie. Insegna: Apteka Dorixona. Ho chiesto alla mia guida turistica di Samarcanda perche' in citta' ci fossero cosi tante farmacie. Risponde, "perche' le persone pensano che aprire una farmacia sia redditizio ". Alla mia domanda, "ma allora vi ammalate spesso", risponde, "No!".
Quinto. Un'altra forza in soprannumero e' quella di Polizia. Cosi ad occhio, sara' un 30% della popolazione... sono dovunque!
Sesto. Ci sono tanti Koreani e meno cani randagi rispetto al Kazakistan. Non e' una cattiveria! In Kazakistan ci sono branchi di cani randagi nei mercati ed intorno ai cassonetti della spazzatura. In Uzbekistan non c'e' ne sono. O li ammazza la Militsia (Polizia) o se li mangiano i Koreani. Dimenticavo: i Koreani ci sono perche' Stalin ce li ha portati nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
Settimo. La valuta locale, i Som, un dramma. La banconota piu' grande, 1000 Som, vale meno di un euro (58 centesimi, per la precisione). Quando ho cambiato 1 banconota da 50 euro mi sono trovato in mano 85 banconote puzzolenti da 1000 Som, legate con un elastico. E mi e' andata bene! Avrei forse preferito 170 banconote da 500 Som? Non so piu' dove mettere i soldi.
Ottavo. Al ristorante. Sembra sia difficile ottenere un piatto che si possa definire tale anche nei locali di fascia alta. A Samarcanda ho alloggiato a casa di un cugino di mio papa' (in Uzbekistan segue un progetto idrico finanziato dalla Banca Mondiale) e ne abbiamo girati parecchi di ristoranti, imbroccandone solo uno, dove il cuoco era armeno. I tempi di attesa media per un piatto caldo si aggirano intorno ai 45 minuti, spesso 1 ora (richiesto ad esempio da uno spezzatino di maiale con funghi e contorno di riso). Ieri mi e' capitato di mangiare un petto di pollo panato con contorno di papatine fritte: ho atteso 45 min, il pollo era caldo e le patatine fredde! Secondo me, in cucina, iniziano a preparare tutto allo stesso istante, con il risultato che i cibi che cuociono in meno tempo sono freddi al momento di portare in tavola la pietanza.
Il piatto nazionale, invece, lo padroneggiano: spiedini alla griglia con contorno di pane, pomodori e cetrioli a pezzetti, cipolle.
Nono. Alla radio trasmettono praticamente solo 3 canzoni: Take it easy di Mika, la nuova di Beyonce' e la hit del momento uzbeko.
Decimo. L'oro non lo portano al collo ma in bocca. Sorrisi smaglianti!
Ah! La Via della Seta! Le citta' simbolo sono Samarcanda e Bukhara. Ho preferito la seconda: un centro storico conservato e ancora popolato, strette stradine polverose, piccole case ad un piano, quasi senza finestre, per combattere la calura estiva; una fontana in mezzo ad una piazza, alberi secolari tutti intorno e, all' ombre delle foglie, uzbeki che giocano a carte sorseggiando te, distesi su quello che e' un incrocrio tra un divano ed un letto (lo chiamano "tea bed"); un concentrato di medresse, moschee, bazaar coperti, minareti; poche auto in centro, quiete, di notte silenzio, e quel feeling da mille e una notte, sotto il cielo stellato. Manca solo il canto del muezzin, per rendere tutto perfetto, ma e' stato abolito dalla Ragion di Stato.
Samarcanda invece e' una grande citta', fatta di viali alberati, strade multi-corsie, palazzi, traffico. Restano i maestosi monumenti voluti da Tamerlano, cupole blu scintillanti che spuntano solitarie, in mezzo ad una citta' moderna. Samarcanda e' stata la mia base, settimana scorsa, a casa del cugino di papa'; occasione di relax, di ronfate pomeridiane e mangiate serali, e un buon momento per fare il bucato: durante un secondo ciclo si e' pure guastata la macchina e abbiamo completato il lavoro lavando a mano, miscelando l'acqua fredda a quella bollente scaldata in cucina. Come si faceva una volta!
Rene'