mercoledì 20 agosto 2008

Sanguinaria Sumba

Altra isola, altro traghetto. Dopo Flores e’ la volta di Sumba, una delle zone culturalmente piu’ interessanti dell’arcipelago indonesiano. Mi lascio alle spalle vulcani e foresta pluviale per scoprire un paesaggio caratterizzato da dolci e ondulate colline ricoperte da bassi arbusti ed erba giallastra e tagliente. Una terra arida, dura, battuta da forti venti oceanici; potrei essere in Spagna o in nel sud Italia, non fosse per quegli alti tetti di paglia che spuntano sulla cima di molte colline. Sono le case tradizionali di Sumba, un’isola dove antiche pratiche e rituali sono ancora fortemente radicate tra la popolazione. La guida che mi accompagna per una giornata di esplorazione dei villaggi (Boni) mi spiega che la posizione arroccata facilitava in passato la difesa della comunita’ dagli attacchi di tribu’ rivali mentre gli alti tetti di paglia, quasi conici, vengono tuttora costruiti per ospitare le anime dei defunti che, pur essendo deceduti, continuano ad abitare nelle stesse case.
Il rito funerario e’ probabilmente l’aspetto piu’ folgorante di una visita ad un villaggio tradizionale sumbanese; nel corso del funerale infatti, di fronte ad una numerosa folla, composta da tutti gli abitanti della comunita’, vengono sacrificati i beni piu’ importanti appartenuti al morto; beni che sono destinati a seguirlo nella vita dell’ oltretomba: galline, maiali, bufali e talvolta anche cavalli (una pratica, quest’ ultima, che il governo indonesiano sta cercando di scoraggiare), sgozzati a colpi di machete nel centro del villaggio, su un altare sacrificale. Nel corso della visita ad una comunita’, Boni mi avverte che tra pochi giorni ci sara’ un funerale dove verranno probabilmente uccisi 6 bufali. Sanguinario! Purtroppo il tempo per me stringe e non posso prolungare oltremodo la mia permanenza a Sumba per assistere a questo rito. In ogni caso non so se avrei retto alla visione delle mucche immolate a colpi di mannaia. Probabilmente la cosa mi avrebbe aperto le porte al mondo vegetariano.
Come a Flores, anche a Sumba gli abitanti piu’ importanti vengono sepolti in enormi tombe megalitiche, ornate da bassorilievi, al centro dei villaggi. Alcune tombe sono veramente grandi e per la sollevazione delle pietre sono necessari centinaia di uomini e lunghe giornate di sforzi.
Sumba e’ decisamente un’isola poco turistica. Dimenticate la massa di Bali. Qui le onde capricciose dell’ oceano Indiano si infrangono su spiaggioni deserte di sabbia bianca e molti abitanti vestono ancora con abiti tradizionali, finemente ricamati; gli uomini con la daga infilata nella cintura e una sciarpa annodata in testa. In quattro giorni gli stranieri li ho contati sulla dita di una mano. La visita ai villaggi e’ stata affascinante, un’esperienza autentica, quasi antropologica fatta da gesti semplici, ma carichi di significato. Vi spiego: Boni mi presenta all’anziano capo della comunita’ - una figura quasi regale - alle quale io offro pacchetti di sigarette e manciate di noce moscata (qui la masticano in continuazione; una roba amarissima e leggermente narcotica). Questi, seduto sotto il tetto spiovente della sua abitazione, ornata con teschi di mucche e maiali sacrificati, accetta di buon grado le offerte e acconsente quindi alla visita del villaggio. Insieme alla mia guida e accompagnato spesso da una allegra processione di bambini, ho cosi il permesso di fare foto e di entrare in alcune case. In una delle visite mi e’ capitato pure di partecipare ad un rito sciamanico, con lo stregone che, dopo aver preparato una mistura di noce moscata e liquido (saliva?), mi spalmava il tutto sulla fronte pronunciando misteriose frasi. Roba da brividi lungo la schiena.
Rene’

giovedì 14 agosto 2008

A spasso per Flores

L'isola di Flores e’ raggiunta dopo 9 ore di traghetto da Sumbawa. Una traversata tranquilla, quasi sonnolenta, salutata per alcuni secondi da una coppia di delfini. Labuanbajo (o Bajo), il porto di arrivo, e' un puzzolente villaggio di palafitte che gode di un certo fascino. La baia sulla quale si affacciano le case e gli scoscesi pendii ricoperti di vegetazione che si tuffano nel mare sembrano usciti dalla matita di Hugo Pratt; uno scenario degno delle avventure di Corto Maltese.
A poche miglia marine da qui si trovano le isole di Comodo e Rinca, abitate dai temibili draghi, lucertoloni lunghi un paio di metri noti per il fatto di essere carnivori e sempre affamati. Le isole fanno parte di un parco nazionale e le visito insieme ad un gruppo di altri viaggiatori. Il ranger che ci accoglie al campo base di Rinca ci porta a passeggio per un paio di ore e ci aiuta a individuare un dragone, addormentato all'ombra di una roccia; l'animale, ci spiega, e' in fase digestiva perche' negli scorsi giorni si e' pappato un cerbiatto. Apprendiamo inoltre che i dragoni non ammazzano e si cibano subito delle loro vittime ma le morsicano infettandole con la loro saliva; questa causa una malattia mortale nella sfortunata bestia che viene sorvegliata dai dragoni fino al decesso: un appostamento che puo' durare settimane. Quando c'e' una particolare carenza di cibo, i dragoni si ammazzano anche tra di loro: cannibalismo!
Dopo alcuni giorni a Bajo, all'estremita' occidentale di Flores, mi sposto verso est, raggiungendo il centro dell'isola. Visito i paesi di Ruteng e Bajawa, nell'entroterra, dove di notte fa sorprendentemente freddo; intorno ai 10 gradi. Il paesaggio intorno a Bajawa e' particolarmente attraente: foreste umide e lussureggianti, vulcani dai coni perfetti, villaggi tradizionali dove si vive ancora in case dai tetti di paglia. Ingaggio un moto-taxi per una giornata intera con lo scopo di esplorare alcuni villaggi della zona. Il primo che visito gode di una posizione spettacolare su un balcone naturale all'inizio di una stretta vallata: vulcano alla destra, colline sulla sinistra e l'azzurro del mare sulla linea dell'orizzonte. Poco lontano, nel fitto della foresta, due torrenti, uno d'acqua gelida, l'altro bollente, si uniscono per formare un naturale bagno termale; godurioso. Approfitto per farmi la prima "doccia" calda dopo settimane.
Nel pomeriggio faccio tappa al villaggio di Wogo. E' in corso il funerale (rito cattolico) di una anziana abitante. Qui incontro Ervin, una ragazza del posto, che parla un ottimo inglese e mi spiega alcune tradizioni della popolazione locale (gli Ngada), tra le quali quella di seppellire le persone piu' importanti nel centro del villaggio sotto strutture a forma di ombrellone o di casa in miniatura; queste vengono "consultate" prima di prendere decisioni importanti come la semina, il raccolto o i matrimoni. Una interessante e misteriosa commistione di cattolicesimo e animismo. Mi porta a vedere anche delle pietre megalitiche, alte fino a 3 metri, dalle origini e significato oscuri. Al termine del funerale Ervin mi invita in alcune case (dalle strutture rettangolari di legno, a un piano, rialzato, e dal tetto di paglia) dove i parenti della defunta (praticamente tutto il villaggio) si sono riuniti e stanno consumando un pasto. Anche a me viene offerto un piatto; trattasi di riso stopposo con fagioli e pezzi di carne (forse maiale) gommosi e di difficile masticazione; cerco di fare del mio meglio e mangio almeno il riso: non voglio offendere nessuno! Dopo che Ervin mi ha presentato ad una decina di persone vengo portato in un'altra casa dove mi ritrovo nuovamente con un piatto (identico) sotto il naso; ugh! Stesso rituale di prima. Sulla soglia della terza casa pero' prendo la ragazza per un braccio e la imploro di terminare il giro di presentazioni; ho lo stomaco che mi sta per scoppiare! La saluto e chiudo questa esperienza culturale veramente particolare.
Ritorno a Bajawa che e' ormai sera e buio pesto. L'unico locale aperto sembra essere la stanza al piano terra di una casa dove un gruppo di ragazzini, seduti sul pavimento, sta giocando alla Playstation 2 su tre differenti televisori (deve essere la sala giochi del paese). Ficco il naso e subito mi invitano a una sfida a calcio; gioco alcune partite con l'Italia, vincendole quasi tutte; mi diverto un sacco a urlare in faccia ai ragazzini "Pippooooo!" o "Gila!" ad ogni gol. Piovono pacche sulle spalle e risate generali. Football mania.
Dopo Bajawa faccio tappa alle pendici del vulcano Kelimutu. L’attrazione del luogo e’ la presenza di 3 laghi colorati all’interno della caldera: uno marrone, uno quasi nero e un altro turchese. Spettacolare. Sembrano tempere sulla tavolozza di un pittore. La colorazione delle acque e’ dovuta alla presenza di minerali nella roccia. Secondo una tradizione locale i laghi sono abitati dagli spiriti dei morti. Dalla cima del vulcano riesco a scorgere l’azzurro del mare lungo le coste meridionali e settentrionali (l’isola e’ abbastanza stretta) e, sforzandomi, arrivo quasi a vedere la punta orientale dell’isola. Il paesaggio e’ una successione di vulcani, molti dei quali attivi e con i coni fumanti.
Flores e’ tutta un saliscendi: strade tortuose, serpentine, strette vallate, burroni e ripidi pendii. Il suolo e’ nero e spesso ricoperto da una fitta vegetazione tropicale. Una splendida e capricciosa isola vulcanica.
Una guida del posto mi racconta che hanno appena evacuato una zona a est dell’isola in quanto stanno aspettando il “botto” di un vulcano. Wow. Tranquilli, io sto andando nella direzione opposta. Termino il soggiorno a Flores nella citta’ di Ende, una delle piu’ grandi dell’isola, dove, sul lungomare, c’e’ un vivace mercato del pesce; freschissimo. I tonnarelli appena pescati sono ancora sanguinolenti e finiscono abbastanza in fretta, una volta tranciati, dalle barche sul retro di un pick-up. L’odore penetrante del pesce si mischia in continuazione a quello piu’ fresco degli ortaggi, in vendita poco piu’ in la. Tutti gli scarti finiscono poi tra le sabbie nere della spiaggia, preda delle fauci di chiassosi gabbiani o dribblati da schiere di ragazzini alla rincorsa di un pallone. Travolgente realta’ indonesiana.

Rene'

sabato 9 agosto 2008

Global tropical village

Vi do le coordinate spazio temporali, per fare chiarezza e evitare confusioni. E' la fine di aprile e sto lasciando Bali. Un battello di legno lungo una quindicina metri, mi porta insieme ad altri 10 viaggiatori verso le isole Gili, al largo di Lombok. Sei ore, cullati da un ritmico basculamento che mette a dormire i piu'.
Trawanggan, Air e Meno sono i nomi delle 3 isole che formano l'arcipelago delle Gili. Minuscole gemme coralline incastonate in un mare di un colore blu profondo. Un ottimo posto per fare snorkelling, immersioni, rilassarsi e viziarsi con ottima cucina e vivaci serate danzerine. La piu' grande delle 3 isole - Trawanggan - si gira in meno di 1 ora in bicicletta... Piccoli paradisi di tranquillita': sulle isole non ci sono strade asfaltate; quindi zero auto e zero motorini; solo biciclette, con le quali ci si insabbia, e cidomo, dei piccoli carretti trainati da cavalli.
Le isole sono una destinazione molto popolare tra i viaggiatori, probabilmente grazie alla vicinanza di Bali, e sono quindi diventate una tappa fissa dellla "ruta backpackers" nel sud-est asiatico. Ovviamente, come ho gia' notato in posti simili (soprattutto in Laos e in Thailandia), cio' significa una rinuncia dei connotati locali, in questo caso indonesiani, per adattarsi alle necessita' del viaggiatore global. Fenomeno questo che ha colpito soprattutto Trawanggan, dove si trova di tutto, dal cappuccino alla pizza, dagli hamburger agli untissimi fish & chips. C'e' chi gode e si arena su queste spiaggie per 1 mese e c'e' chi storce il naso e scappa dopo alcuni giorni; come avrete ormai capito, io ricado nella seconda categoria. Cio' non toglie comunque che anche io approfitti della insonnia festaiola delle isole e dei suoi agi; per 2 notti consecutive finisco a letto alle 6, causa semifinali di Champions League, tra inglesi ubriachi e indonesiani football-maniaci. Inoltre la consapevolezza di trovarmi nell' ultimo party-place prima dell'Australia mi spinge a darci dentro. Conosco alcuni tipi interessanti: un istruttore di sub italiano; un gruppo di ragazze olandesi, una delle quali invaghita del subacqueo; un ragazzone tedesco reduce da 5 mesi di lavoro a Jakarta, con il quale mi confronto sulle follie notturne della capitale indonesiana.
Lascio questo villaggio globale dopo 6 giorni, 3 dei quali passati a Gili Trawanggan e 3 a Gili Air. Attraverso quindi in pullman e frettolosamente l'isola di Lombok; decisione che, a posteriori, rimpiangero', in quanto l'isola ha molto da offrire: oltre alla ultra-socievole popolazione indonesiana, c’e’ un vulcano di oltre 3000m, foreste pluviali e una selvaggia e incontaminata costa meridionale, battuta dalle spumeggianti onde dell'oceano indiano.
In meno di 24 ore mi ritrovo quindi a Sumbawa Besar, la maggiore delle citta' sull'isola di Sumbawa: destinazione numero 5 del mio "island-hopping", dopo Sumatra, Java, Bali e Lombok.
Nota farmacologica: a partire dalle isole Gili ho iniziato a drogarmi quotidianamente con una pillola di Malarone, per prevenire la febbre malarica; le aree che sto visitando sono infatti considerate a rischio.
A Sumbawa mi ritrovo di nuovo totalmente immerso nella "esperienza indonesiana": assenza di viaggiatori stranieri e gente che mi saluta in continuazione, vogliosa di iniziare una conversazione. Il mio Bahasa Indonesia sta progredendo e mi avvicino ora ai 5 minuti di chiaccherata basic.
La permanenza a Sumbawa, come a Lombok, e' breve. Sto iniziando a contare i giorni che mi restano sul visto turistico; la strada fino a Timor Est (e l'Australia), ancora lunga e, soprattutto, imprevedibile, mi spinge ad accelerare il ritmo del viaggio. Mi sparo tre quarti dell'isola in una sfiancante giornata di spostamento. Copro i 250km che mi separano da Sape - il porto dove mi imbarchero' per l'isola di Flores - in 13 ore, ad una media di 20km all'ora, a causa di guasti meccanici e di un bus che si ferma in continuazione a far salire e scendere passeggeri. Sono stretto tra due file di sedili con un sacco di riso sotto i piedi che mi costringe in una posizione rannicchiata, a ginocchia raccolte, che ammazza lentamente gambe e fondoschiena. Sono pieno di dolori e non riesco a spostare i piedi oltre il sacco di riso in quanto il pavimento del pullman e' surriscaldato e mi crema letteralmente le suole delle infradito. Fa talmente caldo che gli zipper metallici dello zaino della mia vicina di posto sono diventati incandescenti e uno mi ha ustionato il polpaccio! Il bus e' zeppo di persone e animali (galline in maggioranza) e non c'e' posto piu' neanche per uno spillo; anche se sono l'unico straniero in viaggio, questa volta c'e' poca voglia di scherzi e sorrisi: stiamo tutti soffrendo e speriamo che questo tortura finisca presto. Quando allo scoccare delle 20 arrivo alla pensione-palafitta sul molo di Sape sono talmente sfinito che non trovo neanche la forza di spaventarmi quando un rattazzo delle dimensioni di un gatto mi attraversa la strada nel corridoio. Casco in un sonno pesantissimo che si interrompe bruscamente alle 5 di mattina, quando l'implacabile muezzin della moschea di fianco all'albergo decide che e' tempo di chiamare a raccolta i fedeli. Allaaaaaaaaaaaaaahhhhh!
Rene'