mercoledì 30 gennaio 2008

Macau, la Las Vegas d'Asia

Faccio tappa a Macau, la capitale dell'azzardo in Asia. Una citta' che ha gia' superato la sua controparte americana - Las Vegas - quanto a profittabilita' del tavolo verde.
Macau e' diversa da Hong Kong. E' una ex colonia portoghese con un centro storico, che a Hong Kong e' scomparso, che presenta ancora molti edifici del passato e una serie di chiese cattoliche molto belle, dipinte in toni vivaci e caldi. Gran parte della citta' e' costituita da case a non piu' di 3 o 4 piani il che e' una gradevola variazione dopo settimane passate tra i palazzoni cinesi; purtroppo, a parte la zona dove si trovano le chiese, la citta' e parecchio grigia, sporca, inquinata e manca, rispetto alla vicina Hong Kong, di un adeguato sistema di trasporto pubblico. Io alloggio nel centro storico in una ex "casa chiusa" che di chiuso conserva ancora le tapparelle rosse e le camere modello celle, separate da sottili mura di compensato laccato verde. Potrebbe essere un posto con un languido fascino decadente, non fosse per i gestori cinesi che non parlano inglese e si comportano in modo abbastanza scortese.
Macau e' letteralmente invasa, soprattutto nel corso del fine settimana, da orde di cinesi in cerca del colpo grosso. I casinò, con la caduta del monopolio e dopo l'ingresso delle multinazionali americane, spuntano come funghi. Intere zone della citta' sono devote al gioco d'azzardo e anche qui, come a Vegas, e' in atto la costruzione di una "Strip" che un giorno potrebbe addirittura superare l'omologa via statunitense.
Dopo avere esplorato le vestigia coloniali portoghesi mi tuffo quindi nella
visita dei templi del gioco, attivita' per lo piu' tardo pomeridiana e serale. Ho girato tutti quegli piu' importanti e devo dire che ognuno di essi e', in un certo modo, unico. Sand's e' un enorme parallelepipedo di cristallo, 5 piani di tavoli e un enorme atrio centrale che buca, in altezza, almeno 3 piani. L'MGM, che apriva proprio in quei giorni (18 dicembre, per la precisione), ha un'aria barocca, datadall'abbondanza di enormi lampadari di cristallo. Wynn si fa notare soprattutto per la presenza delle boutique di tutte le maggiori griffe della moda, oltre che di una concessionaria Ferrari. Ma veniamo alla ciliegia sulla torta; vermanente ce ne sono due e rappresentano gli antipodi o meglio, i poli, del gioco d'azzardo nell' ex colonia: il Gran Lisboa, di proprietà del cinese Stanley Ho, l'imperatore di Macau, e il Venetian, dell'americana Sands.
Il Gran Lisboa e' un incredibile grattacielo di cristallo a forma di fiore, con giganteschi petali che sfidano le leggi della fisica e un pistillo ancora in fase di costruzione. Di notte, le migliaia di piccole luci e neon che punteggiano la costruzione cambiano colore senza sosta mentre enormi fascie di potente luce bianca danzano intorno alla struttura, chiaramente visibile da ogni angolo dell'isola di Macau. Il Venetian invece sorge su un pezzo di terra strappato al mare tra le isole di Taipa e Coloane. Come suggerisce il nome e' una ricostruzione di Venezia con tanto di Palazzo Ducale, Campanile e Ponte di Rialto. Intorno agli edifici veneziani c'e' un bacino d'acqua dove i gondolieri abbozzano strofe di O'Sole Mio sotto gli sguardi di cinesi estasiati. Inciso:
chiunque abbia sembianze occidentali o europee si puo' candidare per la posizione di gondoliera; non occorre particolare destrezza in quanto le gondole sono ancorate al fondale e si muovono lungo un tragitto, sottomarino, prefissato; e' gradita ad ogni modo la conoscenza di almeno una canzone in lingua italiana. Il Venetian e' chiaramente una attrazione turistica e vuole replicare quello che e' il modello americano del gioco d'azzardo: un viaggio in famiglia dove la mamma fa shopping, i bambini si divertono a esplorare la Venezia ricostruita, assistono agli spettacoli di magia e si godono il Luna Park mentre i loro papa' bruciano i risparmi. La componente "intrattenimento", parte importante e caratteristica del Venetian e' assente o scarsamente percepibile negli altri casino'. Anche se il Gran Lisboa promette uno show di danze sul ghiaccio con la prima nevicata, vera, della storia di Macau, il resto degli show sono dozzinali e scadono nel banale. Faccio un esempio: un palcoscenico fiancheggia una grande sala di gioco al Lisboa; una ballerina in perizoma e reggiseno, dalla pelle chiara e inconfondibilmente est europea, si attorciglia ad un palo seguendo il ritmo di una canzone di Shakira. Questo, che dalle nostre parti creerebbe uno spontaneo moto verso il palco e sguardi fissi sulle curve della tipa, lascia assolutamente impassibili i cinesi che restano piegati sui tavoli, occhi fissi sulle carte e sigaretta che pende dalle labbre. La performance si conclude nell' indifferenza generale e solo da un angolo del bancone bar, proprio sotto il palco, provengono alcuni gridolini e applausi di approvazione, in gran parte dovuti all'animosita' di un gruppo di indiani.
Nel corso di una serata, mentre sono in caccia di qualcosa da mettere sotto i denti, mi imbatto nel Gran Buffet del Lisboa. Il ristorante, che occupa gran parte del sesto piano del casino', mi colpisce subito: passeggiando lungo la sala costeggio un lungo, lunghissimo buffet, di almeno 30m. Dietro le quinte, abili chef sfornano pietanze da ogni parte del mondo: c'e' la zona giapponese, con freschissimi sushi e sashimi; quella indiana, ricca di curry e speziati stufati; quella thai, un trionfo di frutti di mare e tagliolini fritti; un mongolian barbecue; e ovviamente non manca l'area cinese con specialita' da ogni angolo del paese e un grande acquario dove vispi gamberoni attendono di passare in un bollente pentolon. Ma e' la zona antipasti quella che mi colpisce, con prodotti dei quali avevo dimenticato l'esistenza come, baguettes, crostini, grissini, insalata di mare, insalata di pollo, salame, bresaola e prosciutto crudo. Alla vista delle graziose, tenere, splendide, rosette di crudo, disposte in modo cosi invitante su un lungo vassoio di cristallo, ho avuto un mancamento e, quando poco oltre mi casca l'occhio su una fontana di 3 piani eruttante cioccolato fuso... ragazzi... non c'ho visto piu'! Branco il primo cameriere che mi capita a tiro e gli dico che voglio, devo, mangiare qui, subito. Appena mi consegna il piatto mi fiondo sul buffet; e' questo l'inizio di innumerevoli giri che terminano solo verso le 22.30 quando mi informano che il ristorante sta per chiudere. "Aspetti, mi faccia tuffare un ultimo spiedino di frutta sotto la fontana di cioccolato" imploro il cameriere che mi sta consegnando il conto. 23 euro! Quanto il mio budget giornaliero di viaggio. Ma, si sa, al Crudo non si comanda.
Rene'

mercoledì 23 gennaio 2008

Le mille luci di Hong Kong

Ancora treni. Da Zhengzhou fino a Hong Kong, destinazione finale, passano si e no 20 ore e tre cambi: treno notturno, espresso locale e infine metropolitana. Quando riemergo in superficie vengo travolto dalla vorticosa Hong Kong. Sono sbucato a Times Square e intorno a me e' un tripudio di negozi, vetrine, addobbi natalizi, auto di lusso, musica e luci. Inizio a togliermi qualche indumento; sono ancora troppo vestito. Solo ieri ero nel freddo inverno della Cina centro-orientale mentre qui ci saranno si e no 25 gradi. Con la mia tenuta da "backpacker" - zaino e zainetto, pantaloni cargo e camicia stropicciata - faccio da mosca bianca in mezzo a colletti bianchi vestiti in giacca e cravatta e raffinate signore appensantite da borse per lo shopping. Ai piedi di un grattacielo attendo di ricevere da Wai Man, la ragazza di Giovanni, le chiavi del mio appartamento.
Si, ho una casa tutta mia! Merito di Giovanni, amico e ex collega di lavoro, che si e' trasferito a Hong Kong da poco piu' di 1 anno. L'appartamento in questione dovrebbe essere quello della sua ragazza ma, visto che convivono, risulta sfitto. In 35 metri quadri c'e' tutto quello che serve: una luminosa e stretta cucina, provvista di lavatrice; un soggiorno con tv, impianto stereo e un angolo per un tavolo e 4 sedie; un bagno e la camera da letto. Come fanno a starci tutte queste cose in 35 metri quadrati? Chiedere ai designer delle case scafandro targate IKEA. Intanto butto i panni zozzi in lavatrice e faccio partire la macchina.
Dire che Hong Kong e' una citta' vertiginosa e' troppo facile; chiamiamola allora "da torcicollo", che e' quello che sta per venire a me perche' continuo sempre a camminare con lo sguardo per aria. Non riesco a resistere alle pazze geometrie delle decine di grattacieli che, da Downtown, si spingono in su, lungo i fianchi di una collina, fino alle altezze di Mid Level. Sara' perche' ognuno vuole avere una vista su qualcosa che non esiste un edificio con meno di 30 piani?

Nel quartiere finanziario, dove i palazzi toccano il cielo, i pedoni possono camminare al primo piano. Molti edifici sono collegati tra loro da passarelle e ponti che scavalcano le vie piu' trafficate delle citta'. Orientarsi e' facile: le indicazioni sono in inglese ed e' un gioco da ragazzi scendere al momento e nel punto giusto. E, quando le strade iniziano a salire, seguendo i pendii di Victoria Peak, ecco partire una serie di scale mobili (le piu' lunghe al mondo!) che portano fino ai piani alti della citta'. Fantastico.

Incontro Giovanni la sera del primo giorno, all' ippodromo, che, tanto per cambiare, si trova in mezzo alla citta' ed e' circondato da grattacieli. Incredibile. Sembra di stare in mezzo a un videogioco. Trascinato dall'euforia della folla inizio a scommettere. Non vinco nulla, ma assistere ai cavalli che ti sfrecciano sotto il naso e' molto divertente.
Hong Kong e' una citta' che induce a spendere, consumare. Non c'e' un angolo senza un negozio, una boutique, un ristorante, un pub, un fast food. A SoHo, il quartiere dei ristoranti, potresti fare il giro del mondo, culinario, in un km quadrato. Poi ci sono i centri commerciali di Causeway Bay e di Central, dove tutto luccica, i gingles natalizi abbondano, una bionda di 30 metri in lingerie ti scruta dal fianco di un palazzo e i cartelloni pubblicitari si illuminano e parlano al tuo passaggio.
A Hong Kong non riesco a dormire piu' di 6 ore a notte. Non so cosa mi succede. C'e' troppa energia, troppa vita. Quando il giorno si spegne e migliaia di luci e neon trasformano i grattacieli della citta' nelle colorate candele di una gigantesta torta nuziale, le gente, dagli uffici, si riversa a fiumi a Lan Kwai Fon dove inizia e si consuma una lunga "happy night". Giovanni mi traghetta sicuro tra le acque agitate di un venerdi sera. Dopo un warm up a base di birra e musica latinoamericana, in un locale caraibico, ci spostiamo a Wan Chai, un quartiere degno, anni fa, di apparire nei piu' violenti action movies asiatici a base di malavita, donne, droga e bische clandestine. Tampinati dallo spettro di Bruce Lee facciamo due salti al Mes Amis prima di calarci nel torbido buio di un locale del quale non ricordo assolutamente il nome. Una band sta suonando dal vivo i brani hip hop piu' famosi del momento. Il bar rettangolare, al centro della sala, magnetizza una schiera di prosperose e succinte bellezze asiatiche in attesa di essere abbordate da una folta squadra di maschi bianchi di ogni eta'. Diciamo che siamo in una discoteca un po' diversa dal solito, dove non si va molto per il sottile. Veniamo ben presto fermati da due tipe che si spacciano per colombiane, salvo capitolare subito al nostro primo accenno di conversazione in spagnolo: fasulle! Passiamo oltre e ci buttiamo in pista dove un gruppo di filippine sta ballando in modo esagitato. Assecondiamo il loro ritmo fino a quando, provati dalla eccessiva calura del locale, ripiegiamo nuovamente verso la zona bar, punto di osservazione privilegiato dell' andirivieni di questo locale, dove si entra soli e molto spesso si esce accompagnati. Beviamo ancora qualche birra prima di chiudere questa lunga serata. All'uscita della disco respingiamo un paio di prostitute che vogliono assolutamente condividere il nostro taxi. No way, ragazze.

Hong Kong e' una citta' caleidoscopica: ha i grattacieli di New York, cerca di essere cool come Londra e allo stesso tempo mostra il suo volto inconfondibilmente asiatico. Un mix sconvolgente. L'aria e' fresca e frizzante come in ogni citta' di mare. Gia', il mare. E' la prima volta che lo vedo, dopo oltre 5 mesi di viaggio a zigo-zago per l'Asia. E' un momento importante: ho raggiunto la costa orientale del mondo!

5 giorni a Hong Kong. 5 giorni che finiscono cosi come sono cominciati: con il naso per aria; questa volta ad ammirare, sul molo di Kowloon, di fronte a Hong Kong Island, il laser show che alle otto di ogni sera trasforma i grattacieli di questa citta' in un immenso flipperone. Great.

Rene'

giovedì 3 gennaio 2008

Una giornata cinese

Arrivo a Zhengzhou nel cuore della notte, ore 3. Decido di sistemarmi in un albergo di fronte alla stazione dei treni: scelta facile e ovvia. Il primo albergo che ispeziono ha esaurito le camere singole a prezzi economici. Cerco altrove. Un piccolo cinese con un pastrano piu' grande di lui mi ferma in piazza e mi dirige su per le scale di un edificio. Al primo piano, piu' che ad una reception mi trovo di fronte al bancone di un bar dove alcune persone bevono birra. Nessuno parla inglese; cerco di farmi capire e mimo che devo dormire. Mi portano in una stanza con 4 letti e una grande televisione. Per 60 yuan (6 euro) e' tutta mia. Non male, penserete, invece no! Il letto e' un asse di legno sul quale e' poggiato un micro materasso. Monastico.

Un soggiorno particolare

L'albergo si sviluppa tutto al primo piano di un alto condominio. Il lungo corridoio, bianco e lucente, ricorda la corsia di un ospedale. Su entrambi i lati le camere sono divise da sottili muri che non arrivano fino al soffitto; si fermano una ventina di centimetri prima, facendo somigliare la serie di camere alle celle di un alveare. Alle pareti sono appese foto di donne nude in pose sensuali. Non mi faccio troppe domande e mi infilo sotto le coperte. Sono stanchissimo.
La mattina successiva la prima immagine che mi riserva la giornata e' quella di un cinese intento a cagare, con una sigaretta in bocca, accovacciato su una turca. Sobbalzo dalla sorpresa. Quando ho aperto la porta del bagno (comune) non mi aspettavo certo un tale spettacolo. Invece del solito anti-bagno con lavandini e specchi mi trovo di fronte a due turche senza alcuna porta o muro di separazione tra di loro! Esco di scatto e mi avvio verso le doccie.
Scosto uno spesso telone di plastica e mi ritrovo in un grosso stanzone: al centro ci sono due enormi vasche da bagno, piene di acqua bollente, che potranno ospitare si e no una decina di persone alla volta. In un angolo della stanza c'e' una sauna di legno e lungo una parete una fila di doccie. Al centro, accanto alle vasche, ci sono due lettini per i massaggi. Tra i vapori e la condensa scorgo corpi nudi di cinesi che entrano e escono dalle vasche.
Mi spoglio e mi butto in una delle vascone, tra gli sguardi stupefatti dei cinesi e alcuni "good morning" pronunciati in tono ironico. L'acqua bollente e' una meraviglia, dopo 10 giorni di gelido Tibet. Benvenuto in Cina!
Uscito dal bagno collettivo e di ritorno verso la mia camera, scorgo un'altra grande stanza che fa da dormitorio. Ci saranno almeno due file da 10 letti e ci sono ancora parecchi cinesi in pigiama che dormono o giocano a carte in gruppi di 4.
La domanda che mi pongo e': ma dove diavolo sono finito? La risposta? Non lo sapro' mai! Non potendo leggere i caratteri in cinese dell' insegna, la cosa restera' per me sempre un mistero: albergo a ore? Diurno? Bordello? Mah... La clientela era unicamente maschile e l'ambiente molto comune e informale!


Kung Fu fighting

Vicino a Zhengzhou sorge lo Shaolin Temple, ragione per la quale ho deciso di fermarmi in questa citta' lungo il mio percorso dal Tibet a Hong Kong. Il tempio e' famoso perche' qui e' nata l'arte marziale del Kung Fu. E' una visita interessante, culminata da una dimostrazione di atletici monaci guerrieri.
Sul pullman verso il tempio conosco un signore cinese che parla abbastanza bene l'inglese. Dice di chiamarsi Morris e mi fara' da Cicerone nel corso dell'escursione.
Tornati a Zhengzhou nel tardo pomeriggio Morris mi chiede se sono interessato a visitare, l'indomani, Kaifeng. Dico di si (era, di fatto, nei miei piani). Insieme ad un altro reduce dell'escursione al Tempio Shaolin decidiamo per la visita a Kaifeng e chiudiamo la giornata con una cena.


Prelibatezze cinesi

Accetto di buon grado: mi evito la decifrazione del menu in cinese e lascio agli altri l'onere di scegliere le pietanze. Iniziamo brindando con un potente liquore di riso da 53 gradi! Riesco, con difficolta', a farmene dare solo meta' bicchiere. In testa risuona subito il campanello di allarme: evitare di ripetere la serata alcolica con i tassisti kirghisi.
Arriva il cibo: tra un piatto di pollo sminuzzato con peperoni e una insalata di cavoli e soya troneggiano due grossi pentoloni ripieni di zuppa colore marrone scuro. In uno navigano i pezzi di un enorme pesce: la pinna spunta come la punta di un iceberg in mezzo a un mare di peperoncini e i miei due nuovi amici cinesi si fiondano subito sui pezzi della testa, divisa a meta', del pesce: una prelibatezza! Pesco alcuni frammenti anche io e mangio piano, cercando di non soffocarmi con le lische. E' piccantissimo! Il cuoco e' andato giu' pesante: peperoncini a manciate; c'ha buttato una piantagione intera! Anche Morris e' in chiara difficolta': come me, tossisce e si soffia il naso in continuazione. Si giustifica dicendo che nella provincia da dove proviene non mangiano cosi piccante.
Passo al secondo pentolon dove galleggiano pezzi di carne molto scura e di consistenza spugnosa. Chiedo a Morris di spiegarmi cosa sto per mangiare. Risponde che e' "something inside the pig". Mmmmhhh. Descrizione insufficiente! Mi faccio coraggio e addento. Il sapore non e' cattivo ma e' troppo piccante. Anche qui, un delirio di peperoncini. Tra alcol e cibo mi ritrovo le pareti della gola in fiamme.
Ripiego sullo sminuzzato di pollo che, essendo meno piccante, finisco quasi tutto io. Morris mi chiede se voglio qualcos'altro. No no no. "Bene cosi", rispondo, mentre mi asciugo le gocce di sudore sulla fronte. Poi i miei due nuovi amici pagano la cena e mi riportano in taxi all' "albergo comune".
Che giornata, tra albergo e ristorante un vero e proprio shock culturale. Divertente pero'!
L'indomani con Morris, che continua imperterrito a chiamarmi Prene' (perche' quella P in eccesso?) visitiamo Kaifeng, a una cinquantina di km da Zhengzhou e cementiamo il nostro sodalizio con un'altro pranzo insieme.

Kaifeng e' sicuramente piu' interessante di Zhengzhou: ci sono piu' vestigia del passato da visitare: monumenti che hanno resistito ad un restauro "make-up" e alla furia devastatrice dei bulldozer cinesi.
Saluto Morris, che ritorna a Zhengzhou, mentre io resto ancora una giornata a passeggiare per i quartieri storici e i vivaci mercati notturni di Kaifeng.
Rene'