giovedì 27 dicembre 2007

Il super treno

E' arrivato il momento di prendere il treno e di portarsi verso la Cina Orientale. Alle mie spalle lascio gli splendidi e selvaggi paesaggi tibetani, cieli limpidi e puliti come probabilmente non ne ho mai visti, cime maestose e un popolo sorridente, pittoresco nei costumi e ospitale. Nelle mie narici avverto ancora il forte odore delle candele di burro di yak, quel particolare aroma che si insinua e permea ogni angolo e stanza di un monastero tibetano. Sto per abbandonare la tranquillita' delle montagne per fare spazio al rumore e alla frenesia della citta' cinese.
Da novembre 2006 la ferrovia ha raggiunto il Tibet. E' un miracolo ingegneristico, interamente cinese. Pensate che il treno, prima di arrivare a Lhasa, a 3600m di quota, raggiunge altezze oltre i 5000m e viaggia su uno strato di terra perennemente ghiacciato (permafrost).

La stazione di Lhasa e' nuovissima, bianca e lucida, e ricorda vagamente il Potala Palace. La prossima tappa del mio viaggio e' Zhengzhou, Cina centro-orientale. Dal Tibet sono 40 ore di treno. Ieri pomeriggio ho fatto provviste e parto equipaggiato con: bottiglione da 1,5 litri di acqua, 1 bevanda al latte multivitaminica, 2 bricks di the freddo, 1 brick di latte al cioccolato, the e caffe' istantaneo, 2 confezioni di biscotti al cioccolato, 2 plum cake, 2 snickers e 4 zuppe di instant noodles. Dovrebbe bastare...

Il treno parte puntuale alle 10 di mattina, con capolinea Shanghai; e' decisamente affollato: io sono in una cuccetta da 6 con altri 5 compagni di viaggio cinesi.

Le prime 6 ore sono spettacolari. Si percorre un'ampia vallata a oltre 4000m; alla nostra sinistra costeggiamo ad un certo punto una montagna innevata alta oltre 7000m. I villaggi lungo le rotaie sono piccoli e molto distanti l'uno dall'altro. Ogni tanto si scorge una mandria di yak al pascolo su campi gialli e spelacchiati. Tutti i viaggiatori, me compreso, hanno la faccia attaccata al finestrino. Impossibile perdersi anche un solo minuto di questo spettacolo. Man mano che il treno sale di quota, l'erba lascia spazio alla neve. Stiamo percorrendo un vasto, immenso, altopiano bianco; in lontanza si scorge la sagoma frastagliata di una catena montuosa. E' incredibile come a quasi 5000m di quota ci possa essere uno spazio pianeggiante di tale ampiezza; uno si aspetterebbe di essere sulla punta di una montagna...




I vagoni del treno sono equipaggiati con bombole di ossigeno, in caso qualche passeggero mostri i segni del mal di montagna e abbia difficolta' respiratorie.

Mentre all'interno, lungo i corridoi, si avverte chiaramente lo slurp slurp delle zuppe istantanee, all'esterno il Tibet da il meglio di se. Immagini che si imprimono indelebilmente sulle retine dei viaggiatori.

Una voce registrata racconta le fasi della costruzione della ferrovia e, in inglese, ricorda i primati di questo prodigio: 5100m, il punto piu' alto al mondo raggiunto da un treno; 5000m, la galleria ferroviaria piu' alta. Eccezionale, la Cina stupisce sempre. Quando la narrazione si interrompe parte sempre la stessa cassetta musicale: cover, in cinese, di canzoni inglesi; riconosco brani di Pink, Rod Stewart e anche il ritornello di Fra Martino Campanaro!

Al termine della prima nottata il treno ha ormai lasciato il Tibet e si appresta a percorrere le pianure della Cina Centrale. Nottetempo siamo scesi bruscamente di quota e ora saremo intorno a 2000m. I paesaggi si fanno meno interessanti e passo tutto il tempo a leggere o a sonnecchiare, disteso sul letto. Esaurisco le provviste e per cena mi affido a quanto propone il vagone ristorante: riso in bianco con manzo e verdure in salsa di soya: non male. Mi faccio poi un caffe' e ritorno a letto a leggere, in attesa di prender sonno. Prima di addormentarmi definitivamente preparo lo zaino in modo da essere pronto per lo sbarco nel cuore della notte. Il treno giunge puntuale a Zhengzhou, alle 2.50

Rene'

domenica 23 dicembre 2007

Sette giorni in Tibet (2)

Quarto giorno

Dopo Shigatse, copriamo un altro breve tratto in macchina e arriviamo a Gyatse, piccola cittadina sulla via verso Lhasa. Qui visitiamo un monastero con una stupa molto interessante e soprattutto molto grande. La stupa e' un edificio sacro buddista che solitamente contiene le spoglie di monaci famosi e venerati (es. i Lama).
La stupa di Gyatse e' un impressionante conoide di 9 piani, interamente dipinto di candido bianco con in cima un pinnacolo dorato. All'interno della stupa, su ogni piano, si trovano delle stanze dove sono state posizionate statue di divinita'. Saliamo fino all' ultimo piano, con il fiatone, per godere di una ottima vista del paese e dell'ampia vallata. Dall'alto osserviamo i fedeli percorrere in senso orario il perimetro della stupa.
In serata, altra mano di poker che stavolta va ad una novizia danese che dice di giocare per la prima volta (ci crediamo?). Io perdo l'intera posta giocata.

Quinto giorno

E' la prima volta che ci svegliamo veramente presto. Alle 7.15 siamo gia' in strada per percorrere il tratto finale, destinazione Lhasa. C'e' da scollinare un passo a 4700m. Giunti alla sommita' fa ancora troppo freddo (siamo sicuramente sotto zero) e nessuno si azzarda a restare fuori dall' auto per piu' di 2 minuti. Giusto il tempo di scattare la foto di rito!
Lo stop successivo e' piu' piacevole e avviene verso le 11 di mattina. Siamo in cima ad un colle e sotto di noi la vista spazia su un lago di un colore blu incredibile. Intorno a noi si crea un gruppetto di venditori di souvenir tibetani che tentano invano di appiopparci una serie di ninnoli. Io e Matt, per scaldarci, saltiamo a perdifiato attorno ai tibetani esterefatti e immobili.
Ed eccoci a Lhasa, la mitica e tanto desiderata capitale del Tibet. Per molti del nostro gruppo e' un piccolo shock e forse c'e' anche un pizzico di delusione: la citta' piu' sacra dei tibetani e' infatti solamente un poco differente da quella che puo' essere una normale cittadina cinese nell'anno 2007. Intorno al Barkhor, il tempio piu' importante di Lhasa, resiste ancora un bel nucleo di case storiche, visibilmente minacciato dalla morsa dei lucenti e piastrellati palazzi multipiano cinesi, dai ristoranti per turisti, negozi di souvenir, boutique e fast foods. E' il vorticoso progresso in atto in Cina che si riflette anche quassu', nel remoto Tibet.
Oggi abbiamo il pomeriggio libero e molti ne approfittano per visitare il centro storico. Io sono in preda di un pesante attacco di cagarella, diagnosticato, insieme a David, come Giardia. Sintomi? Frequenti rutti al sapore di uovo marcio, eccesso di gas, stomaco e intestino gorgogliante. Prendo una dose di pillole e passo il pomeriggio in camera a leggere, sonnecchiare e guardare la tv. In serata sto gia' meglio, ma non mi avventuro in pericolose sperimentazioni gastronomiche.

Sesto giorno

Sto ottimamente: il pillolone deve avere fatto il suo dovere e ucciso il battere intruso. Non bene, invece, sta la ragazza danese che, dal primo giorno del viaggio, si porta dietro i sintomi del mal di montagna. La situazione e' peggiorata e si rende necessario il ricovero all' ospedale militare di Lhasa. L'unico rimedio, per lei, e' quello di scendere di quota. Cosa che verra' fatta, dopo due giorni, con un volo aereo verso la Cina.
Dopo una mattinata in liberta' ci ritroviamo con la nostra guida di fronte al Barkhor, il tempio buddista piu' importante di Lhasa. Rispetto agli altri templi visitati in Tibet questo, seppur architettonicamente molto bello, e' "freddo", senza vita. Non incontriamo o vediamo monaci che pregano o cantano. Quei pochi che avvistiamo pare abbiano piu' una funzione di controllo del flusso turistico e sono impegnati a smanettare sul cellulare. La nostra guida ci dice che questi monaci sono finti, spie del governo cinese! "All' interno del tempio" - continua - "e' assolutamente vietato parlare di politica" e con una mano ci indica una telecamera a circuito chiuso. Per chi si oppone alle politiche del governo di Pechino il passo verso la detenzione e' molto breve. Per noi e' comunque difficile capire, nel corso di questa breve visita in Tibet, quanto sia effettivamente stringente la morsa di Pechino e come questa si esplichi sui tibetani, la loro cultura e la loro terra.

Settimo giorno

In mattinata e' prevista la visita al Potala Palace, ex-residenza dell'ultimo Dalai Lama. E' certamente l'highlight del nostro Tibet trip. Il palazzo troneggia in cima ad una collina ed e' veramente maestoso; al suo interno si possono contare, tra sale e stanze, fino a 1000 camere.
Terminata la salita a zigo-zago verso l'ingresso e, ripreso fiato, ci apprestiamo a esplorare la parte aperta al pubblico (meno del 10% dell' intera struttura). Visitiamo, una dopo l'altra, stanze grandiose, con bellissime statue dorate, mobili finemente intarsiati e enormi stupe che contengono i resti di alcuni dei piu' famosi Lama tibetani. Il flusso di fedeli e' incessante. In ogni stanza i pellegrini lasciano una donazione di qualche centesimo e alimentano le lampade a olio con il burro di yak che si sono portati appresso per la visita. Questo colorato e folkloristico fiume di tibetani ci accompagna fino all' uscita e poi ai piedi della collina, dove inizia il percorso delle ruote di preghiera, che cinge tutto il perimetro del Potala. L'unica nota stonata di questa mattinata molto intensa e affascinante e il monumento che i cinesi hanno eretto nella piazza antistante al Potala, un gigantesco pisellone grigio di cemento.



A cena e' tempo di saluti e di scambio di email. Meta' del gruppo tornera' domani in aereo a Kathmandu. Gli altri (tra i quali ci sono io) sono ora di liberi di muoversi in terra tibetana, chi verso la Cina, chi verso il Nepal. Per chiudere al meglio il tour decidamo di andare in una discoteca tibetana che si rivela essere un teatro sul quale palcoscenico si alternano cantanti e gruppi di ballerini. Le performace migliori vengono premiate dal pubblico con lancio di pezzi di stoffa (lunghe sciarpe bianche) sul palco. Il pubblico in sala e' disposto intorno a rotondi tavoli ricoperti di lattine di birra. Anche noi ci adeguiamo, prendendo comodamente posto, per assistere a questo particolare spettacolo.

Chiusura

Terminato il tour resto ancora per due giorni interi in Tibet. Continua a fare freddo. Niente di cui meravigliarsi: dopotutto e' inverno e mi trovo a 3600m di quota. L'unico momento in cui ho veramente caldo e' quando sono sotto le coperte e aziono il riscaldamento naturale (avete capito...). Altrimenti sono sempre costretto ad essere coperto fin sopra i capelli, anche all'interno dei ristoranti. Non mi ricordo un locale, in questi sette giorni, che abbia avuto un riscaldamento! Di notte la temperatura scende sotto zero e penso di avere raggiunto il record in quanto a strati di vestiti: canottiera, t-shirt, maglietta a maniche lunghe in pile, camicia, maglione di lana, giubbotto di pile e giacca a vento: ben 7 strati!
Una mattina ci rechiamo con i resti del gruppo ad un monastero buddista tra i monti nei pressi di Lhasa, a 4600m. Partenza in pullman fissata alle 6.30. Il viaggio e' tremendo. Giunti in piazza alle 6.15 scopriamo che il bus e' gia' pieno di pellegrini tibetani. Siamo quindi costretti a sederci su mini-sgabelli di plastica nel corridoio del pullman. Non c'e' il riscaldamento e le gambe e i piedi mi si stanno letteralmente ghiacciando. Dopo un'ora e mezza di sofferenza arriviamo al monastero; sta albeggiando e intorno a noi le montagne sono ricoperte di un leggero strato di neve. Dobbiamo assolutamente scaldarci e ci rintaniamo quindi in un piccolo ristorante dove, grazie alla presenza di altri corpi, si e' creato un poco di calore. I tibetani ci offrono il loro the' che consiste in the', appunto, sale e burro di yak. Imbevibile. Per correttezza cerco di buttar giu' mezza tazza, rischiando di vomitare. Poi, visto che non si trova altro, passo a una piccantissima zuppa istantanea che mi scalda piacevolmente le pareti di stomaco e gola. Meglio passare all' attivita' fisica. Decidiamo di scalare il monte nei pressi del monastero. Una lunga e sfiancante passeggiata per coprire un dislivello di alcune centinaia di metri. Il fiato manca a tutti e ben presto l'ordinata fila si disunisce, come in un tappone di montagna al Giro d'Italia. Giunti in vetta, in un tripudio di bandierine colorate, siamo ripagati dalla purezza dei paesaggi tibetani: netti contrasti e un cielo di un blu incredibile.
Saluto definitivamente cio' che rimane del gruppo; loro hanno infatti deciso di fermarsi per una notte alla guesthouse del monastero mentre io, biglietto del treno gia' in mano (partenza fissata domani mattina alle 10), sono costretto a scendere e tornare a Lhasa. Non che mi dispiaccia; di passare una notte in una gelida stanza a 4600m di quota non ne avevo proprio voglia!
Rene'

venerdì 21 dicembre 2007

Sette giorni in Tibet (1)

Il 27 novembre e' il giorno della partenza per il Tibet. Per entrare in Cina dal Nepal e' necessario fare parte di un viaggio organizzato da un tour operator e quindi essere dotati di "group visa". Avevo nel passaporto gia' un visto turistico individuale per la Cina che pero' l'ambasciata cinese a Kathmandu ha provveduto ad annullare con un bello stampo rosso (cancelled!). Ora il visto - un foglio A4 - dice che il mio gruppo e' composto da una persona: Rene' van Olst. Dannata burocrazia!
Ogni martedi e sabato parte un gruppo di viaggiatori dal Nepal, Kathmandu, alla volta del Tibet. A seconda della stagione i numeri variano. In alta (settembre-ottobre), ad esempio, si sono toccate punte di 100 persone! Il nostro gruppo, per fortuna, e' composto solo da 21 persone; viaggeremo tutti insieme in un convoglio di jeep per 7 giorni, destinazione Lhasa, la capitale tibetana. Il gruppo e' composto da:
- me stesso
- David, avvocato americano di origine ebree
- Matthew, giovane australiano in dubbio sul suo futuro universitario
- Surendra, indiano di mezza eta' residente a Londra
- Luis, giovane ingegnere tedesco trapiantato in Malesia
- Edoardo, studente universitario peruviano
- due ragazze inglesi di provincia, dall' accento incomprensibile (infatti non ricordo i loro nomi)
- caratteristica comune anche a Heather, irlandese del Nord
- Murray, infermiere scozzese
- Philippe, esperto di telecomunicazioni francese, giramondo
- Sophie, sofisticata francese di colore
- Marie, impiegata nella fredda Trondheim, Norvegia
- un gruppo di sei giovani danesi appena usciti dalla scuola superiore
- due universitarie danesi reduci da uno stage in una NGO in Bangladesh

Primo giorno

Partenza da Kathmandu alle 7 di mattina e viaggio in minibus fino al confine dove arriviamo verso mezzogiorno, ora nepalese. Sbrighiamo senza problemi le formalita' in dogana e aggiorniamo le lancette sull'ora di Pechino, +2.15 ore. Questa volta la mia Lonely Planet China, edizione di seconda mano acquistata a Kathmandu, scassatissima, unta e reduce da un probabile tuffo in una sostanza liquida, passa la frontiera indenne. Gli zaini non sono stati aperti per l'ispezione alla ricerca di letteratura proibita!
Sul lato cinese pranziamo e riceviamo le informazioni relative al tour dalla nostra guida tibetana. La strada fino a Naylam, dove prevediamo di fermarci per la notte, e' interrotta causa lavori in corso e dobbiamo aspettare al posto di frontiera fino alle 22, ora di riapertura. Azz! Sono quasi 7 ore a partire da adesso.
Interminabile attesa in auto. Le presentazioni di rito e i discorsi vanno scemando e occore ammazzare il tempo ascoltando l'ipod o, meglio, dormendo.
Alle 21.30 riusciamo a ripartire e in 2 ore scarse raggiungiamo l'albergo per la notte. La strada e' tutta buche e scossoni, sterrata. Si sobbalza. Una ragazza danese, nell'auto-centrifuga, inizia a vomitare.
Si temeva una sistemazione spartana ma l'albergo non e' male; meglio, per intenderci, della mia guesthouse a Kathmandu. E' una ghiacciaia ma il materasso e' egregio e ci sono molte coperte. Naylam e' a 3900m. In un solo giorno abbiamo fatto un salto di 2500m.

Secondo giorno

Dalla jeep ammiriamo estasiati la natura tibetana. Il paesaggio e' radicalmente mutato, dalle verdi, umide, ricoperte di vegetazione, colline nepalesi, siamo passati a montagne scarne, brulle e a colori dalle tonalita' ocra. Sembra di percorrere un deserto d'alta quota. Ancora prima di mezzogiorno solchiamo un passo a 5200m. Ci fermiamo alcuni minuti sotto una struttura metallica a forma di arco ricoperta interamente di bandiere di preghiera (prayer flags) tibetane. Non molto lontano si erge maestosa la sagoma innevata dello Shishapanga (un ottomila al confine tra Nepal e Cina).
Pranziamo a Tingri, dove una strada biforca alla nostra destra e porta diretto al campo base dell' Everest. Il Chomolungma (cosi si chiama in tibetano la vetta piu' alta del mondo) spicca lontano, lungo la linea dell'orizzonte, rendendo pero' chiaramente visibile la sua altitudine.Seduti intorno a una stufa in una tipica abitazione tibetana consumiamo il pranzo. Ognuno di noi, in un modo o nell' altro, accusa i sintomi dell' AMS (altitude mountain sickness). Io ho un sottile e persistente mal di testa, una linea dolorosa proprio sopra le tempie.
A meta' pomeriggio arriviamo a Lhatse (4100m), secondo stop per la notte. Questa volta le camere, disposte intorno ad un cortile, sono "essenziali": i letti sono brande che scricchiolano pericolosamente sotto il peso dei corpi. Il bagno? Una odorosa latrina: occhio a non cascarci dentro di notte! La toilette si trova in un altro cortile, aperto su un lato e disordinato magazzino a cielo aperto della guesthouse, dove i muri sono ricoperti di cacche di yak, appicicate li ad essiccare, prima di diventare combustibile per la stufa.
Mentre ci scaldiamo intorno ad una tazza di the, in attesa di cenare, Heather irrompe nella stanza dicendo di avere trovato uno snack bar dove servono hamburger. In men che non si dica mette insieme un piccolo esercito di affamati. Io declino, riservandomi il diritto di fare una ispezione piu' tardi.
Giunto sul posto, trovo i ragazzi seduti intorno ad un tavolo intenti a sgranocchiare patatine. Stanno ancora attendendo i burgers. Il primo tocca ad una ragazza danese: e' un egg burger; semplicemente una frittata all'interno di un soffice panino. Addenta. Il suo sorriso si smorza subito. "Il pane e' dolce!" esclama. Intanto arriva il secondo panino, il chicken burger di Philippe. Lo stupore e la risata e' grande. Ragazzi, il panino e' un bombolone ricoperto di glassa al cioccolato, che viene subito immortalato dai flash delle nostre macchine fotografiche, tra gli sguardi preoccupati delle due cuoche. La vera star della serata!
Io decido che ho visto abbastanza e trascino Matt fuori dal locale. Quello che sta accadendo e' chiaro: le ragazze hanno finito il pane e, pur di accontentarci (e per non perdere 8 preziosi clienti!), sono passate all'utilizzo di panini dolci.
Insieme a Matt trovo ben presto un minuscolo ristorante dove consumiamo una decente zuppa di tagliolini, verdure e carne. Il brodo bollente ci da un po di calore per affrontare la notte. La stanza infatti e' gelida e la finestra, che non si chiude bene, lascia penetrare spifferi d'aria. Srotolo il sacco a pelo, necessario, e mi infilo sotto le coperte.

Terzo giorno

La notte e' passata bene, nonostante mi sia dovuto alzare due volte per correre al gabinetto (sto bevendo molta acqua per contrastare il mal di montagna). Lo spostamento in jeep, oggi, e' molto breve: solo 90km, contro i 200 e piu' coperti in ognuno dei primi due giorni. Ancor prima di mezzogiorno arriviamo a Shigatse. E' la prima citta' dove faremo del turismo.
Nel pomeriggio infatti esploriamo il grande monastero buddista che rende famosa questa citta'. Molto bello. In una delle cappelle c'e' un Buddha dorata impressionante, alto piu' di 20m. Gli edifici del monastero sono disposti a piu' livelli, sui fianchi di una montagna. Il cuore batte velocemente e il respiro e' affannoso quando la strada inizia a salire e dobbiamo percorrere una scalinata. Siamo ancora intorno ai 4100m di quota!
Shigatse conserva ancora un piccolo nucleo di abitazioni tibetane, sul lato orientale del grande monastero, mentre tutto il resto della cittadina si sta rapidamente cinesizzando (per numero di abitanti, Shigatse e' la seconda citta' dopo Lhasa). Ben presto la ferrovia, che da novembre 2006 collega Lhasa alla Cina, arrivera' fino a Shigatse. Le case tibetane, dai tetti piatti, hanno una forma quasi trapezoidale e sono interamente dipinte di bianco, con fasce di colore nero intorno alle finestre. Richiamano molto gli edifice del monastero dove, oltre al bianco, viene utilizzato anche l'amaranto, il marrone e l'oro, a seconda dell'importanza degli edifici.
In serata si crea il gruppo di giocatori di poker. La camera "d'azzardo" e' quella di Heather e Murray, che vengono spennati da Matt a Texas Hold'em (io limito i danni).
Anche questo albergo e' sprovvisto di riscaldamento ma almeno c'e' l'acqua calda e per molti e tempo della prima doccia calda.
Rene'

mercoledì 19 dicembre 2007

Nepal

Arrivati a Darjeeling e raggiunto quindi il nord dell'India si puo' dire che il Nepal e' alle porte. E' a portata di mano e visibile dalle cime di queste colline bengalesi.
Il passaggio di frontiera tra il Nepal e l'India e' divertente. La dogana e' poco piu' di una casupola con all'interno due ufficiali indiani che annotano, a penna, su dei registri il passaggio di tutte le persone. Sono letteralmente sommersi dalla carta! Sul lato nepalese l'atmosfera e' molto rilassata e il doganiere si stava quasi dimenticando di apporre il visto sul mio passaporto.
Sincronizzazione dell'orologio: il Nepal e' 5 ore e 45 minuti piu' avanti dell' Italia. E' legittimo chiedersi il motivo di questi 45 minuti di sfasamento; semplice: visto che l'India e' avanti di 5 ore e mezzo, il Nepal ritiene necessario evidenziare la propria indipendenza dall'India spostando in avanti le lancette di 15 minuti!
Passo una notte al confine in quanto devo attendere il primo bus della mattina successiva per Kathmandu: partenza fissata alle 4.30!
Il viaggio si rivela lungo... molto lungo... ben 17 ore! A dir tanto avremo coperto una distanza di 500km.
Procedo nella narrazione abbastanza in stile libero, soffermandomi su alcuni episodi. In Nepal ho passato 13 giorni e ho visitato di fatto solo due citta': Kathmandu - la capitale - e Pokhara.


Tutte le strade del Nepal portano a Kathmandu

Purtroppo si! Immaginate tutto il traffico su ruota di una nazione (tra auto, pullman e camion) che, proveniente da ogni angolo del Paese, si riversa su una unica strada verso la capitale. Un disastro! Facciamo un esempio: lo spostamento in pullman da Pokhara a Kathmandu dovrebbe prendere tra le 6, massimo 7, ore. Ci ho messo 12 ore, di cui 6 solo per coprire gli ultimi 20 km prima di Kathmandu. La colonna di mezzi - un lungo serpentone snodato lungo i fianchi di una collina - era assolutamente immobile, modello "una ordinaria giornata di follia". Un vero stillicidio. La noia mortale rinchiusa in una gabbia di metallo. L'esasperazione, poi, non fa che complicare le cose: ogni tanto sulla corsia opposta il traffico era assente; una occasione colta al volo dal "genio nepalese" che inizia a percorrere la corsia libera fino a che non incontra un veicolo proveniente in senso contrario. Il risultato: traffico bloccato e una serie infinita di manovre per trovare lo spazio necessario per rientrare nel senso di marcia corretto (ovviamente sto parlando di decine di veicoli che stanno cercando di saltare la coda). Per sbloccare il mega ingorgo ci sarebbe voluto l'intervento di un esercito... di bulldozer. Il Nepal quindi, da un punto di vista "trasporti" non rivela il suo lato migliore.

Geografia

Il Nepal e' un Paese lungo e stretto. Immaginate, disposte sul lato piu' lungo del rettangolo, 3 fasce parallele di terreno: pianura (sud); collina (centro) e montagna (nord). Le strade ci sono in pianura e in collina mentre in montagna esistono solo i sentieri e tutto il traffico (umano e merci) avviene a piedi e a forza di braccia (e in alcuni casi con l'aereo). Non a caso il Nepal e' il Paese del trekking! Tutto il nord e' caratterizzato dall'imponente Himalaya: i monti piu' alti del mondo si trovano qui. Montagne che evocano miti, leggende, sofferenze: come la storia della conquista dell'Everest. Vedere al museo le attrezzature utilizzate per scalare negli anni Trenta mette i brividi.

A spasso per la valle di Kathmandu

In soli 13 giorni di Nepal non ho potuto fare alcun trekking. Mi sono limitato ad esplorare il Nepal storico e culturale, in particolare nella incantevole vallata di Kathmandu, cosi ricca di testimonianze del passato. Passeggiare per una cittadina nepalese risveglia i propri istinti da esploratore. Ci sono templi, edifici sacri e cappelle votive (l'equivalente delle nostre "madonnine") a bizzeffe. La mattina presto, per le strade, si sentono le campanelline di chi si reca al tempio per pregare e portare le offerte. I centri storici sono labirintici: viette strette, case che quasi si toccano e talvolta piccole gallerie che terminano in una piazza. Le citta' si sviluppano intorno e a partire dalla Durbar Square, la piazza principale, un tempo sede dei regnanti e dell'amministrazione cittadina. Gli edifici di queste piazze hanno strutture piramidali, a gradoni, e sono sormontati da tetti di legno, anche essi a forma di piramide, finemente intagliati e decorati.
Il calendario nepalese e' pieno di feste e ricorrenze sacre. Talvolta scorre anche sangue, essendo le offerte di animali (pecore e vacche) ancora abbastanza comuni. Raffaela cerca di illuminarmi sui molti lati oscuri della cultura nepalese. E' una amica di vecchia data (non la vedo da 10 anni!) che lavora da quasi un anno a Kathmandu. Una sera andiamo ad un concerto di musica tradizionale nepalese organizzato da alcuni suoi amici nei pressi della capitale. La piazza del paese e' gremita di persone allegre e sorridenti, sedute a gambe incrociate, gomito a gomito. La musica e' interessante: etnic-folk con molto tamburo e strumenti a corde. Una esperienza autentica che si chiude con la cena insieme al gruppo, tutti seduti per terra in una stanza a mangiare riso, lenticchie e curry di verdure, con le mani! Si, qui si fa cosi. Sulle prime ero visibilmente in difficolta', polpastrello ustionato e sugo che cola lungo le mani, poi mi sono impratichito e ho iniziato a formare palline di riso e a usare la mano come una piccola vanga, con il pollice a spingere il cibo in bocca.

La Kathmandu di oggi

Dove sono i fricchettoni? Kathmandu non e' piu' la loro capitale. Li ho cercati anche nel loro ex-quartiere dove una strada si chiama pure Freak Street. Spariti. La Kathmandu del 2007 e' il regno dei trekkers e di chi e' in cerca di brividi. Il centro d'azione si e' tutto concentrato nella zona di Thamel, il quartier generale dei turisti. Quando ci entri abbandoni il Nepal tradizionale e ti trovi circondato da agenzie viaggi, negozi di abbigliamento (finto) da montagna, souvenir, supermercati con alimentari importati da tutto il mondo, internet point, pubs e ristoranti (cari) per tutti i gusti. Come in India, mi tocca fare lo slalom tra gente che mi vuole appioppare qualcosa. La saturazione arriva presto; dopo 3 giorni al massimo. Purtroppo non c'e' scelta: gli alloggi economici sono qui e anche io mi adeguo ai riti del quartiere. Colazione bacon & eggs; sightseeing; nel pomeriggio ritorno alla base, internet, doccia e poi cena: indiano, cinese, italiano, israeliano, steakhouse o nepalese? Scegliete voi, io ho gia' dato. Dico solo che la pizza era accettabile (pasta poco salata ma va bene cosi!).
A Thamel girano facce conosciute. Qui incontro Ben e Sam gia' visti in Pakistan; sono entrambi in partenza per Inghilterra e Australia. Ben prevede poi di tornare e di stabilirsi a Kathmandu per aprire l'ennesima... agenzia viaggi! Anche se nella vita ha fatto quasi sempre il camionista. Recentemente ha lavorato anche in Iraq. Un tipo tosto.


Incantevole Pokhara

Il turista intrepido, quindi, dopo essersi rifocillato di cibo e avere comprato l'attrezzatura adatta nei negozi di Thamel, si sposta a Pokhara dove puo' liberare la sua voglia di avventura incamminadosi lungo il circuito intorno all'Annapurna (18 giorni); volando in parapendio o con l'ultraleggero; sfidando le rapide di un fiume con un gommone; buttandosi da un ponte con l'elastico; oppure facendo torrentismo. Io inizio affittando una mountain bike per girare in tranquillita' tra le vie di Pokhara poi, il giorno successivo, passo allo scooter causa pigriza e sedere dolorante. Meglio cosi. Con il motore si coprono piu' facilmente i 600m di dislivello per raggiungere Sarangkot, sopra Pokhara, da dove si puo' godere di un'eccezionale panorama sul massiccio dell'Annapurna (8000 e poco piu' metri). Peccato per le nuvole che hanno nascosto parzialmente i monti. Ai miei piedi scorgo il piccolo lago sulle cui sponde sorge Pokhara, incastonato tra verdi colline e campi coltivati: mi sembra di essere in Svizzera!
Una sera mi metto in cerca di un ristorante nepalese economico. Cosa non facile in quanto sul lungo lago di Pokhara vige la legge del ristorante spenna-turista. Scorgo un cartello a bordo strada che pubblicizza momo (ravioli tibetani) a prezzi da saldo. Il ristorante si rivela una stanza che da sul cortile di un piccolo centro commerciale. La stanza e'grande a sufficienza per occupare la cucina e i clienti vengono fatti accomodare su un lungo tavolo di legno all'esterno del locale! C'e' gia' un gruppo di viaggiatori che sta mangiando in una atmosfera comunitaria. Tra di loro scorgo Johannes, uno dei ciclisti che avevo incontrato in Kazakistan nel corso delle mie prime due settimane di viaggio. Carramba', come e' piccolo il mondo! Ha appena finito di girare il Tibet in bici e si appresta a pedalare in India. A partire dal Kazakistan le nostre strade si sono divise per tornare ad incrociarsi nuovamente in Nepal. Ora io vado verso nord (Tibet) mentre lui scende a sud. Un incontro che val bene qualche giro di birra!

Un anticipo di Tibet

Tornato a Kathmandu compro l'attrezzatura minima per affrontare il temibile inverno tibetano: guanti, cappello, magliette in pile, calzamaglia e una sciarpa di lana di yak. Sull'altopiano mi attendono infatti altezze superiori ai 5000m. Ho anche occasione di vedere una anteprima di cultura tibetana nel corso delle mie visite al Monkey Temple e alla Stupa di Boudnath (entrambe a Kathmandu). Soprattutto a Boudnath vivono molti esuli tibetani e altrettanti giungono in pellegrinaggio da tutto il Nepal per percorrere, in senso rigorosamente orario, la circonferenza esterna della enorme Stupa, snocciolando grossi rosari in legno. E' questa l'ultima immagine che conservo del Nepal, un Paese di persone sorridenti e allegre, gente molto friendly che mi ha permesso un soggiorno decisamente piu' rilassato rispetto all'India!
Rene'


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Ho caricato le foto del Nepal (link Flickr) e nuovi video

lunedì 10 dicembre 2007

Il rito del the

Altre 13 o 16 ore, ora non ricordo, di treno piu' un trasferimento di 3 ore rannichiato, schiacciato, in una jeep con altre 10 persone, su ripide strade di montagna e mi ritrovo a Darjeeling, lussureggiante resort dal sapore antico, un posto che gli inglesi, un tempo, chiamavano Hill Station. Darjeeling torreggia in cima ad una delle tante colline che caratterizzano la provincia indiana del West Bengal: verdi pendici, valli, piantagioni di the. Qui si produce quello che viene chiamato lo champagne dei the'; Darjeeling te lo ricorda ad ogni angolo: le case vittoriane in legno, i negozi e le botteghe, le sale da the. Qui si pratica ancora il rito, molto british, dell' afternoon tea, un trionfo di pasticceria, piccoli panini imbottiti e tazze fumanti. Percorrendo le ripide vie della cittadina sembra di ritornare a quel passato coloniale e sfarzoso che fu. Basta chiudere gli occhi e aprire i propri sensi ai profumi della vallata e come d'incanto ti ritrovi a passeggiare accanto ad una dama e ti senti come il piccolo Lord, in vacanza estiva in India. Finalmente percorro strade senza il rischio di essere investito da un rickshaw o caricato da un gruppo di vacche. Non ci sono cacche o cumuli di rifiuti; gli assordanti clacson danno tregua; nessuno mi insegue per tirarmi in un negozio o in un ristorante. Che bello! In giro i visi dai tratti tibetani o nepalesi superano di gran lunga quelli indiani, rappresentati solo dai turisti bengalesi imbaccuccati di lana fin sopra le orecchie. Siamo a oltre 2000m. All'ombra e soprattutto di notte fa freddo; molto freddo. Il passaggio dall'estate ad un autunno inoltrato e' stato drastico; il mio fisico lo avverte. Per oltre 8 settimane ho sudato e talvolta boccheggiato in quella che per me e' stata una lunga estate. Pantaloncini corti e t-shirt vengono ora sostituiti da jeans, camicia e maglione di lana. Brrrrr. Che shock passare da 30 gradi a poco piu' di 5 nel giro di 24 ore. Per fortuna ho un sacco a pelo nel quale raggomitolarmi di notte e i vestiti caldi non mi mancano.
Passo le giornate a fare lunghe passeggiate, allo zoo (?!), al giardino botanico e tra le verdi piantagioni di the mentre maestoso, lungo la linea dell'orizzonte, troneggia il Kanchengunga, la terza montagna piu' alta del mondo (8586m). Per ammirarla ancora meglio, una mattina mi piego al rito dell'alba vista da Tiger Hill (2600m) e mi sveglio alle 4 di mattina per imbarcarmi su un taxi insiemi ad altri viaggiatori alle 4.30. Vi sembrera' strano ma non sono l'unico. Tiger Hill e il suo rifugio-osservatorio sono, alle 5.30, stipati all'inverosimile. Il sole sorge da li a poco, alle 6, ed e' accompagnato da gridolini e battiti di mani del pubblico indiano. I primo raggi del sole baciano i pendii di monti innevati, colorandoli di rosa; si sgomita per ottenere lo scatto migliore. In lontananza si scorge pure la sagoma dell' Everest, non piu' grande della bianca e piccola cresta di un'onda che si infrange all'orizzonte. E poi? Sorto il sole, dopo 10 minuti, e' il fuggi fuggi generale del pubblico indiano tra gli sguardi esterefatti dei pochi turisti stranieri. Ma come? Gia' ce ne dobbiamo andare? Ora che il sole inizia a scaldare i nostri nasi e scioglie le guance gelate? Eh si. Dietrofront. Alle 6.30 sono di nuovo in jeep, si ritorna a Darjeeling. Colazione alle 7 e poi di nuovo a letto per qualche ora.
Qui tra verdi colline si conclude la mia avventura indiana, un viaggio lungo 6 settimane tra spiritualita', confusione, resse, vacche e tigri. Una delle ultime istantanee mi ritrae nel tardo pomeriggio al Glenary's, intento a scaldarmi le mani intorno ad una bollente tazza di the. Si chiude con l'India e anche con il mio fatto di essere vegetariano. Insieme a Jessica (viaggiatrice australiana incontrata la prima volta in Pakistan e poi piu' volte in India) consumo un succoso pollo marinato allo joghurt in salsa al curry. Delizioso, James!
Rene'

lunedì 3 dicembre 2007

Buddismo e treni

Varanasi e Gaya dovrebbero essere a circa 4 ore di treno l'una dall'altra. Dico, dovrebbero...
Considerata la distanza relativamente breve da coprire, opto per un biglietto di 2 classe, la piu' economica e anche la piu' affollata. Come in ogni stazione ferroviaria indiana anche a Varanasi c'e' una gran ressa di persone: chi a sgomitare per un biglietto; chi intento a capire se e dove arrivera' il proprio treno; chi stravaccato per terra a leggere un giornale o, nella maggior parte dei casi, a dormire. Nell'atrio centrale bisogna zig-zagare tra i viaggiatori distesi per terra, facendo attenzione a non calpestare un braccio o a calciare una testa. L'altoparlante enumera incessantemente, in una sorta di cantilena, i treni in arrivo e in partenza. Per sfuggire alla calca e alla confusione la cosa migliore da fare e buttarsi nel salone ristorante, una oasi di pace libera da mendicanti, venditori di the, tassisti e assillamenti vari.
Il treno per Gaya entra in stazione alle 20.30, con circa 3 ore di ritardo. Niente di straordinario: il ritardo medio dei treni che ho preso in India e' stato di 2 ore e mezza (con una punta massima di 7 ore). Mi faccio largo tra un fiume di gente in attesa lungo il binario e mi porto verso la testa del treno. E' qui che vengono sempre collocati due vagoni di 2nda classe. Al contrario delle altre quattro classi (prima, seconda, terza ad aria condizionata e cuccetta) la "seconda" non si puo' prenotare e, come gia' detto, e' la piu' economica. Lascio prima salire gli indiani che si sono accalcati all'entrata del vagone. Chi deve scendere ha difficolta' e deve allontare a spintoni la massa che preme per salire. Terminato il pericoloso trambusto salgo anche io e cerco un angolo tranquillo. Missione difficile: tutti i posti a sedere sono gia' occupati. Trovo un poco di spazio nel corridorio, al centro del vagone; riesco giusto a togliermi lo zaino dalle spalle, appoggiarlo in terra e sedermici sopra. Tutto sommato non e' una sistemazione malvagia non fosse per il continuo via vai di venditori di the che sfiorano pericolosamente, con le loro teiere incandescenti, le mie spalle. Dannazione! Non c'e' posto per una mosca e loro si ostinano a volere passare.
Il treno continua ad accumulare ritardo e le 4 ore previste di viaggio si allungano verso le 6 ore. E' ormai notte fonda e cerco in ogni modo di restare sveglio: non ho idea di cosa potrebbe succedere se per sbaglio mi addormento e distolgo lo sguardo dallo zainetto! Ho gia' letto e riletto il settimanale India Today e non mi resto che scandagliare con lo sguardo i passeggeri pressati nel vagone.
Arrivo a Gaya alle due di notte. Nonostante l'ora c'e' ancora un discreto affollamento sia in stazione che nelle vie adiacenti, dove alcuni ristoranti sono ancora aperti. Mi limito ad attraversare il viale di fronte alla stazione e mi infilo nel primo albergo che mi capita a tiro. Non e' male: c'e' pure la tv in camera e ne approfitto per vedere in diretta il secondo tempo di Besiktas-Liverpool (Champions League!). Accidenti! Apro lo zaino e scopro che la crema solare e' scoppiata e ha impiastricciato tutto il beauty-case: colpa del mio peso quando, sul treno, mi sono seduto sullo zaino. Prima di andare a letto mi tocca pure fissar la zanzariera: sono sotto l'assedio delle sanguinarie!
L'indomani mi faccio una full-immersion di buddismo. Visito Bodhgaya, il luogo dove Siddharta Gautama ha meditato per sei lunghi anni (senza toccar cibo) all'ombra di un albero (Bodhy Tree) prima di diventare Buddha (L'Illuminato). L'albero originario non c'e' piu' ed e' stato rimpiazziato da uno piu' recente, non meno maestoso. Il luogo e' carico di significato. Intorno all'albero sorge un tempio e molte persone, monaci e buddisti d'adozione (stranieri) si fermano qui a meditare. E' molto interessante passeggiare per questa piccolo cittadina perche' si incontrano buddisti di ogni nazionalita' e si ha la possibilita' di visitare i templi che le varie comunita' hanno costruito: cinese, giapponese, burmese, bhutanese, tibetano. Nell'atrio di quest'ultimo e' in corso una danza in maschera al suono di tamburi: molto affascinante. Spendo una mezza giornata a curiosare tra i templi prima di ritornare nella polverosa Gaya. Le malefiche zanzare sono gia' attive di pomeriggio e mettono a dura prova il mio repellente. Decido di non fare nulla e di riposarmi per il resto della giornata. Mi aspettano ancora molte ore di treno prima della prossima tappa.

Rene'