martedì 29 luglio 2008

Fantastica Bali

Sceso dagli extraterrestri paesaggi del vulcano Bromo mi ritrovo nella convulsa e caotica realta' indonesiana. Con un bus notturno mi sposto da Probolinggo a Bali, dove arrivo, rincoglionito, alle 5 di mattina. Un taxi, dal tassametro molto probabilmente taroccato, mi porta da Denpasar, la citta' piu' grande dell'isola, a Kuta, scaricandomi direttamente nel cuore del frenetico e affollato centro turistico mondiale.
Bali e' diversa, unica, affascinante. L'Indonesia e' un paese musulmano ma l'isola di Bali e' di religione induista; se gli indonesiani sono gentili e cordiali, i balinesi lo sono ancora di piu'. Giorno dopo giorno l'isola rivela i suoi molteplici aspetti, quelli di un posto... fantastico.
Ho noleggiato uno scooter per potermi muovere in liberta'. Nonostante l'isola sia minuscola se paragonata a Sumatra o al Borneo, le principali attrazioni turistiche sono comunque separate una cinquantina di km l'una dall'altra.
I primi giorni li passo a Legian, nel sud dell'isola, a pochi passi da Kuta, nella bolgia balneare. La spiaggia e' lunga, bellissima, con onde di media altezza che si infrangono capricciose sulla battigia; un ottimo posto per fare i primi passi su una tavola da surf. Sono giornate oziose, tra bagni, letture, tramonti infuocati e serate a sudare in caldi e affollati locali notturni insieme a tanti australiani allo sbaraglio e muscolosi surfisti.
A sud di Kuta la spiaggia lascia il posto alla costa frastagliata della penisola di Bukit che termina nello splendido promontorio di Ulu Watu. Qui la forza dell'oceno indiano si scontra contro nere roccie vulcaniche; alte e poderose onde rumoreggiano continuamente contro le scogliere. Nel punto dove il mare incontra la terra i balinesi hanno costruito un tempio, in alto, sopra le onde, sulla cima di questo magico promontorio. Un posto emozionante, carico di energia, dove l'occhio non trova riposo. A poca distanza dalla ruvida roccia, intrepidi e cazzuti surfisti sfidano onde molto piu' alte di loro. Mi ritrovo totalmente immerso nella affascinante bellezza del luogo, tanto da ritornarci più volte nel corso della permanenza sull’isola.
In direzione opposta rispetto alla penisola di Bukit si trova invece Ubud, una cittadina quasi al centro dell'isola. Lussureggiante vegetazione tropicale, umidita', risaie e templi sono le caratteristiche di questa zona. E' la capitale culturale dell'isola, il buen retiro di artisti, soprattutto pittori, di fama internazionale. Ogni giorno le serate si riempiono con i suoni e i colori di danze e spettacoli teatrali tradizionali. Rispetto alla frenesia di Kuta qui ci si ritrova catapultati in una nuova dimensione, dominata dalla tranquillita'. Moltissime catene alberghiere di lusso hanno costruito resort a Ubud; splendide costruzioni celate dalla vegetazione dove zelante personale in livrea si occupa della cura del corpo e della mente dei propri clienti: trattamenti di bellezza, terapie di vario genere, meditazione, yoga, corsi di pittura e di cucina. Qui puo' capitare di perdersi tra le risaie, come e' successo a me, e di vedersi indirizzati sulla strada corretta da una anziana contadina che in cambio della cortesia non chiede nulla se non un sorriso. Ubud e' magnetica: le atmosfere e la gentilezza degli abitanti potrebbero attirare per settimane.
Percorrendo in scooter le strade di questa zona ci si imbatte spesso in processioni religiose: lunghe file di balinesi vestiti in abiti tradizionali - uomini, donne, bambini - portano offerte al tempio, tra musiche e profumati incensi. Spettacoli ai quali non si resta indifferenti. Le donne dai lunghi e lisci capelli neri, con i fiori tra le ciocche, sembrano uscite direttamente da un quadro di Gaugin. La religione e' un aspetto costantemente presente nel quotidiano di Bali; le offerte di fiori, frutta e le bacchette di incenso punteggiano gli ingressi di case e negozi.
Le mie esplorazioni dell'isola mi portano poi sulla costa est, ad Amed, un grazioso villaggio di pescatori. Qui il paesaggio è caratterizzato da una successione di piccole calette di sabbia nera, palme da cocco e dalle tipiche imbarcazione da pesca di legno laccato bianco: i trimarani. I villaggi sono minuscoli e si alloggia in bungalow direttamente sulla spiaggia oppure in alto sulle scogliere. La temibile cima del Gunung Agung, un vulcano attivo, veglia su questa costa; le ripide pendici del suo cono si gettano a capofitto fino a toccare le acque cristalline del mare. Poco lontano da una delle spiaggie di Amed mi immergo e scorgo il relitto di una vecchia nave da guerra giapponese. E' ormai quasi interamente sommersa dalla sabbia, ma quel poco che spunta e' meravigliosamente tempestato di coralli. Centinaia di pesci colorati giocano a nascondino tra le pieghe di metallo arruginito e una stella marina si muove lenta sul fondo sabbioso.
Alla sera, seduto sotto la veranda del mio bungalow ascolto i rumori del mare e mi lascio accarezzare da una fresca brezza. Il mio soggiorno a Bali non e' ancora terminato ma nella mente si affollano gia' i ricordi dei molteplici volti di questa terra: il traffico asfissiante di Denpasar e Kuta, i templi battuti da mare e vento a Ulu Watu e Tanah Lot, le danze e le processioni religiose di Ubud, le torride notti in discoteca, le spiaggie, le onde, la lussureggiante vegetazione tropicale, i sorrisi dei balinesi, il dolce profumo dell'incenso. Bali e' tutto questo. Turismo, misticismo, rifugio tropicale, surf, arte. Fantastica.
Rene'

domenica 13 luglio 2008

Cime tempestose

Il viaggio da Jepara (la citta' dove vivono gli svedesi) a Probolinggo e' un perfetto esempio di "spostamenti lenti in pullman" in Indonesia. Un altro... Penserete voi. E' la regola... Rispondo io. Impiego quasi 13 ore per fare 250km di strada. Sfiancante. Il fatto di trovarsi su Java, l'isola piu' popolata del paese, non ha fatto altro che peggiorare le cose.
Il bus, senza aria condizionata, e' stipato all'inverosimile e, come tradizione, non ha punti di sosta fissi ma si ferma quando qualcuno vuole scendere o salire. E non ci sono solo passeggeri. Per lunghi tratti si e' in compagnia di gruppi di ragazzi che cercano di raccattare qualche soldo suonando la chitarra o vendendo bibite, arachidi e snack vari. Come unico straniero sul bus vengo subissato dagli "hello mister!" degli indonesiani.
Arrivato a Probolinggo mi faccio scaricare di fronte ad un hotel, sulla strada principale, e mi sistemo in una camera economica.
Il giorno successivo prendo un taxi collettivo (pulmino) e salgo a 2000m fino ai bordi del cratere del vulcano Bromo. E' una delle principali attrattive turistiche di Java e ci sono parecchie guesthouse nel piccolo villaggio ai margini della caldera.
L'aria fredda e una sveglia puntata alle 3.30 mi costringono a letto presto. Quando lo squillo del cellulare mi rianima mi trovo alle prese con una spasmodica ricerca di vestiti caldi: camicia, maglione, cappellino di lana, persino la giacca invernale. Sembro in procinto di partire per una spedizione alpina.
Mi butto in strada alla ricerca di un passaggio per il punto panoramico dal quale ammirare l'alba, posto a 2600m di altezza. Di fronte alla guesthouse, c'e' un gran movimento di jeep e 4x4 ma i veicoli sono gia' tutti pieni. In lontananza addocchio un ragazzo indonesiano in sella ad una moto. Appena mi avvicino mi offre un passaggio. In moto? Ma è sicuro? chiedo. No problem mister, mi rassicura. Negozio la tariffa e salto su. La strada scende all'interno del cratere: e' buoio pesto, fa freddo e c'e' una nebbia che impedisce di vedere a piu' di 10m di distanza. La carreggiata e' una striscia di sabbia nera, vulcanica. Ci si muove in difficolta'. Il ragazzo deve mettere giu' i piedi un paio di volte e fermare la moto perche' le route si bloccano nella sabbia finissima. Inizio a dubitare che ce la faremo. Ieri pomeriggio, ad occhio, il cratere mi sembrava largo almeno 2 o 3 kilometri. Ad un certo punto la strada inizia a salire. Stiamo lasciando la caldera e abbiamo iniziato ad arrampicarci su uno dei bordi. La bianca nuvola di vapore acqueo e zolfo lascia il posto ad una volta celeste serena illuminata dalle ultime stelle della notte. La pelle del viso ha perso sensibilita' e ho la fronte e le sopracciglia imperlate di freddissime gocce d'acqua. Cerco di nascodermi quanto piu' possibile dietro il corpo del guidatore, per minimizzare l'impatto dell'aria gelida.
Dopo una interminabile serie di tornanti raggiungiamo, infine, il parcheggio del viewpoint. Mi sparo un caffe' bollente e mangio un pacchetto di wafer che avevo nascosto nella giacca. Sono le 5 e siamo prossimi all'alba.
Il punto panoramico e' gremito di persone. Qualcuno si e' lasciato ingannare dalla latitudine equatoriale e si aggira in pantaloncini e sandali; cerca di non darlo a vedere, ma sta soffrendo terribilmente. A 2600m di quota fa freddo in tutto il mondo, soprattutto se non e' ancora sorto il sole.
Il primo spicchio strizza l'occhio alle 5.30, illuminando progressivamente la caldera e le pendici del vulcano. E' una vista spettacolare. All'interno del cratere ci sono altri due coni vulcanici, di dimensioni minori, di cui uno attivo. Il denso fumo bianco che esce dalla sommita' e' un flusso inarrestabile. In lontananza, ben oltre il largo cratere del Bromo, il cono perfetto di un altro vulcano si innalza oltre i 3000m. Ogni dieci minuti, con la precisione di un orologio svizzero, spara delle boffate di fumo nero che, salendo verso il cielo, prendono la forma di un fungo.
Il paesaggio e' surreale. Il cratere del Bromo e' ancora ricoperto da una fitta nuvola bianca, che nasconde la distesa di sabbia nera; di tanto in tanto la nuvola, come l'acqua di un bicchiere riempito fino all'orlo, trabocca e si riversa sul villaggio ai bordi del cratere. Le punte dei due piccoli vulcani, al centro, spuntano dalla bianca distesa; la spessa fumarola di zolfo sale in verticale verso il cielo e in lontananza un alto vulcano, dai ripidi pendii, veglia sul panorama. Se si esclude il verde dei campi e della foresta che circondano il cratere del Bromo si potrebbe avere la sensazione di essere atterrati su un pianeta nello spazio. Il nero e il grigio sono i colori predominanti di questo paesaggio.
Non sono disperso nell'universo; sto semplicemente ammirando un altro aspetto della tumultuosa, selvaggia, viva e imprevedibile terra indonesiana.
Rene'

mercoledì 9 luglio 2008

Viaggio al centro di Java

Imperativo: lasciare Jakarta; allontanarsi; dimenticare. Recarsi a Jodja e immegersi nella citta' universitaria piu' grande dell'Indonesia. Cultura, dopo la follia.
Ritorno ad un ritmo piu' consono al viaggio: sveglia di buon ora e sightseeing prima che le temperature tropicali rendano insostenibile ogni spostamento. Passo giorni tranquilli a scoprire bellezze architettoniche come la stupa di Borodbur (la stupa buddista piu' grande al mondo) e le rovine dei templi induisti di Prambanan, seriamente danneggiate da un recente terremoto.
Mi trovo al centro dell'isola di Java e, al contrario di Jakarta, la regione e la citta' di Jodja sono ricche di attrazioni turistiche: palazzi reali, musei, spettacoli culturali, esibizioni di artigianato. Di sera le strade di Jodja si riempiono di studenti universitari e scolaresche in gita, che si mischiano ai turisti nella frenetica ricerca di economici souvenir. Ristorantini ambulanti, bancarelle e riscio' a pedali affollano ogni spazio libero e l'aria, gia' umida di suo, si carica ulteriormente di odori e sapori.
La citta' di Solo, a 1 ora di treno da Jodja, non ha lo stesso appeal della sua illustre vicina, ma vale comunque una visita per ammirare le piantagioni di the e i templi induisti che caratterizzano le verdi colline a est dell'abitato. Sull'isola di Java immergersi nella natura per scoprire angoli incontaminati non e' altrettanto facile come nella selvaggia e immensa Sumatra: la densita' della popolazione e' molto alta e sull'isola si contano oltre 120 milioni di abitanti.
Raggiungo poi la costa settentrionale dell'isola e mi fermo a Jepara dove incontro gli imprenditori svedesi, padre e figlio, conosciuti a Singapore. La zona pullula di mobilifici e saloni d'arredamento; dev'essere la Brianza dell' Indonesia. Ho giusto il tempo per passare una notte perche' il mattino successivo sono gia' su un battello in direzione dell'arcipelago di Karimunjaya, una delle poche zone ancora inesplorate di Java. Gli svedesi mi ospiteranno al loro resort!
Il vecchio traghetto, arrugginito dagli anni e dalla salsedine, arranca in un mare abbastanza mosso. Resto ancorato per 6 ore alla mia poltroncina, incapace di alzarmi, camminare e mangiare. Prima di arrivare nel resort di proprieta' degli svedesi devo ancora sorbirmi oltre 1 ora di trasferimento su una barca di legno, lunga una decina di metri. Disteso sul tetto, insieme ad un gruppo di operai diretti al resort, scruto le prime stelle di questo caldo crepuscolo nei mari del sud.
Arrivato sull'isola, privata, vengo sorpreso dal lusso di una struttura alberghiera a 5 stelle. Nel mio bungalow a pianta ottogonale, all'ombra di palme da cocco, c'e' l'aria condizionata, la TV via satellite, un grande letto matrimoniale e il bagno con l'acqua calda. Al ristorante c'e' gia' un piatto caldo e una birra ghiacciata che mi aspettano; accoglienza regale!
Il giorno dopo mi metto a curiosare nei paraggi. In meno di 1 ora ho percorso l'intera circonferenza dell'isola e ho potuto appurare che, oltre a Lax - il proprietario - suo fratello e un gruppo di operai, sull'isola ci sono solo io! Il resort e' ancora chiuso e l'attivita' di manutenzione e' frenetica in vista della prossima riapertura.
Trovarsi da soli su una minuscola isola tropicale: paradiso o trappola? Probabilmente la risposta e' legata al periodo di permanenza. Nel mio caso, restandoci solo 2 per giorni, le sensazioni sono estremamente positive. Un tramonto infuocato, come le zanzare che mi massacrano le caviglie, ha chiuso una giornata oziosa, talmente oziosa che il primo bagno l'ho fatto alle 4 del pomeriggio. Mi sono immerso nei pressi del molo, circondato da un branco di sardine; ho nuotato tra migliaia di esseri luccicanti che si muovevano in perfetta sincronia: stupefacente.
Alla sera un'altra ottima cena, insieme a Lax e suo fratello. Un unico rammarico: l'indomani e' gia' previsto il rientro a Java. Arrivederci al Kura Kura Resort (www.kurakuraresort.com).
Rene'

lunedì 23 giugno 2008

Paura e delirio a Jakarta

Mi prendo un giorno intero per recuperare lo stress del lungo viaggio in pullman. A Bandar Lampung non c'e' nulla da vedere se non una piazza con un monumento di elefanti che giocano a calcio e un punto panoramico su una collinetta; da qui si vede quello che resta del vulcano Krakatoa e, oltre, la costa dell' isola di Giava, la prossima destinanzione.
Jakarta e' a un tiro di schioppo; la raggiungo facilmente con un minibus. Lo stretto che separa Sumatra da Giava e'... stretto... e in traghetto ci si mette solo 1 ora e mezza a coprire la distanza.
Jakarta e', come dicono gli anglosassoni, overwhelming. La citta' piu' grande del sud est asiatico. Una giungla metropolitana di oltre 9 milioni di abitanti, che cresce all' impazzata. Uno sviluppo demografico e urbanistico incontrollato. Arrivo in un caldo giovedi pomeriggio e, dopo essermi sistemato, mi siedo in uno dei tanti ristorantini che si affacciano sulla animata Jalan Jaksa, la strada dei backpacker.
Qui conosco un ragazzo indonesiano. Mi aiuta a decifrare il menu e si ferma poi a chiaccherare. Fa l'event coordinator al Ritz Carlton di Jakarta e conosce un italiano pilota di formula GP2 Asia (tra l'altro ho visto le gare in Malesia prima del GP di F1) che si chiama Marco Bonalumi e che si fa sentire al cellulare di Anton, l'indonesiano, mentre siamo al ristorante. Anton ad un certo punto me lo passa e salta fuori che sto Marco e' di Lecco (23 anni); sta chiamando dal Bahrein!
Sono abbastanza stanco ma mi lascio convincere ad una serata fuori. Si va al Red Square vodka bar. Ragazze cubo ballano scatenate e Anton mi paga da bere (4 vodka redbull con pochissima redbull e 2 shots di tequila); io faccio lo spacchiuso e bevo lo shot in un nano secondo (mentre lui sorseggia) esclamando "I am a tequila professional" (memore delle nottati in italia con la mitica Cuervo Reposado, ora sostituita con il chupito rum e pera). Nel corso della serata la svolta. Mi accorgo che Anton e' gay... Mi parla a un dito dalla faccia e ho l'impressione che abbia cercato di baciarmi!
Usciamo dal bar alle 2.30 che non ci reggiamo piu' in piedi. Sul taxi gira tutto; si finisce nel suo appartamento. Lo stronzo mi chiude dentro. Io mi rintano al bagno e foppo due volte al cesso (mentre lucidamente penso "cazzo sto vomitando nel cesso a casa di un culattone indonesiano") e mi addormento, sfatto, sul letto. Non e' successo nulla, per fortuna. Anche lui dormiva. Poi alle 5.30, svegliato dal richiamo del muezzin tento la fuga dal balcone sul tetto della casa sottostante (avevo allertato i vicini, che dormivano sul loro balcone, tirando monetine sul tetto in lamiera e dicendo "I need a taxi"... chissa' che cazzo avranno pensato...).
Ho gia' una gamba sul tetto ma lui mi blocca. Io gli dico che cazzo ora vado a casa. Lui finalmente mi libera pero' insiste nel riaccompagnarmi a casa e nel taxi tenta un ultimo patetico approccio con io che gli dico che non mi piacciono i ragazzi non lo hai capito cazzo!
Il giorno dopo mi sono svegliato alle 13 con ancora il cervello in pappa. Sul cell ho 2 nuovi numeri di ragazze indonesiane delle quali non ricordo il nome (lo scopriro' scorrendo la rubrica). Una sembra la sorella della donna cannone l'altra dovrebbe essere OK. Che faccio le chiamo?
Ragazzi, serata mattissima. Ho speso l'equivalente di 5 euro per un devasto totale.
Sono sopravvissuto...
Rene'

martedì 17 giugno 2008

Il mega trasferimento

Contatto Riki per un giro di Bukittinggi. Ci incontriamo alle 11 di una domenica mattina nel parco in mezzo alla cittadina, a quell'ora affollato di famiglie a passeggio e bambini schiamazzanti. Il mio nuovo amico insiste per una visita a casa sua, che si trova in un piccolo paese a qualche km da Bukittinggi. Accetto.
Giunti sul posto faccio la conoscenza della famiglia e ben presto mi trovo un piatto di riso e pesce fritto sotto i denti: accoglienza all'indonesiana. La casa e' composta da 3 stanze, una cucina ed il soggiorno. Ci sono pochi mobili (nel soggiorno c'e' solo la TV...) e il pranzo lo consumiamo seduti, a gambe incrociate, su una stuoia. Dopo una tazza di caffe' facciamo un giro del villaggio e visitiamo uno zio di Riki che abita in una bellissima casa tradizionale di legno con un tetto che mi ricorda lo scafo di un veliero. Tutta la famiglia e' al lavoro nelle operazioni di restauro del vecchio edificio.

Tornati a Bukittinggi visitiamo un'area della citta' dove i giapponesi, nel corso della seconda guerra mondiale, hanno costruito una estesa serie di bunker e gallerie sotterranee. E' ormai pomeriggio inoltrato e avrei bisogno di un break, di un attimo di riposo in albergo, ma non riesco proprio a svincolarmi dalla compagnia di Riki (mollami!). Chiudo la giornata invitando il mio nuovo amico a cenare in un ristorante all'aperto del mercato notturno. Il clima e' ora piacevolmente fresco (Bukittinggi si trova a 1500m di altezza) e le strade si sono riempite di gruppi di ragazzi che suonano la chitarra.
Il mattino successivo, alle 10, mi imbarco su un bus alla volta di Bandar Lampung, citta' posta all'estremita' meridionale dell'isola di Sumatra. Sulla la carta la distanza da Bukittinggi sembra essere intorno a 1000km. Sto per sciropparmi, in lunghezza, quasi due/terzi di Sumatra. I tempi del viaggio sono imprevedibili.
Un'ora dopo la partenza siamo gia' fermi per un guasto meccanico. Il pullman e' entrato troppo violentemente in una buca e si deve essere scassato qualcosa. Ripartiamo dopo un'ora e mezza di smartellamenti nell'area del semiasse anteriore.
Sul bus la mia posizione non e' delle migliori; mi trovo nella fila immediatamente prima del bagno; significa avere un sedile che non si reclina e aria maleodorante. Sono l'unico straniero in viaggio e, quindi, al centro dell'attenzione. Verso sera il corridoio centrale si è trasformato in un immondezzaio: una giornata di pasti e di snack hanno lasciato il segno. Ci fermiamo in un ristorante per la cena e scopro con sorpresa che quasi tutti i passeggeri approfittano della sosta per lavarsi e rinfrescarsi; sapone, salvietta, un cambio di vestiti e risalgono in pullman come nuovi; quello che si sta progressivamente sporcando sono solo io... Nel corso della sosta qualcuno si e' anche preso la briga di pulire il corridoio; meno male.
La notte procede a sobbalzi, come quelli della strada, che interrompono un sonno gia' leggero sollevandoti dal sedile. Sumatra e' un'isola gigantesca, dove le citta' sono separate da centinaia di km l'una dall'altra; in mezzo ci sono colline, laghi, vulcani, foreste e campi. E' una zona selvaggia anche se l'integrita' della natura e' messa costantemente in pericolo da disboscamenti e trivellazioni in cerca di petrolio.
Il mattino del secondo giorno arriviamo a Palembang, una grossa citta' nell'area sud-orientale dell'isola. La sosta e' breve; giusto il tempo di far scendere alcune persone e di caricare nuovi passeggeri; il bus e' sempre pieno. Il viaggio scorre lento. A Sumatra non ci sono autostrade e le poche strade che attraversano il territorio sono molto trafficate e alquanto scassate. Verso mezzogiorno facciamo una pausa; il pullman si e' fermato lungo la strada accanto ad alcune bancarelle che vendono frutta. I miei compagni di viaggio insistono nel farmi provare il durian, un frutto dalla pelle spessa e appuntita, grosso quanto un melone e dalla polpa puzzolente: qualcosa che ricorda un uovo marcio o la puzza di piedi. E' dolcissimo, non male dopotutto, ma e' da mangiarsi con il naso tappato. Prima di ripartire mi regalano un sacchetto di duku, un frutto grande poco piu' di una noce, anche questo da sbucciare, dalla polpa trasparente, dolce e succosa.
Il pullman attraversa ora una vasta landa pianeggiante. Campi a perdita d'occhio; il colore giallo delle lunghe spighe di riso che contrasta con le nuvole nere di un temporale che rumoreggia, lontano, sulla linea dell'orizzonte. Una colonna di TIR davanti a noi solleva ondate di polvere. E' un pomeriggio bollente. Nessuna citta' in vista. Arrivero' mai?
All'imbrunire il pullman si ferma ancora, questa volta per la cena. L'autista mi spiega che Bandar Lampung e' poco distante; ancora un paio di ore e ci siamo. Mentre i passeggeri si lavano io mangio un piatto di riso fritto; probabilmente sono l'unico che sta iniziando a puzzare.
Ore 21: case e negozi si fanno piu' frequenti lungo la strada. Stiamo per arrivare in citta'. L'autista in seconda mi si avvicina e mi spiega che non si fermeranno alla stazione: il pullman prosegue fino a Jakarta. Mi chiede dove voglio scendere. Non lo so, rispondo; poi aggiungo, vicino ad un albergo va bene.
Ed e' cosi che il bus si ferma, alle 21.30, dopo 35 ore di viaggio, nei pressi di un grosso albergo. Non ho la più pallida idea di quale sia la mia posizione; se sono in citta' o in periferia. Entro e addocchio i prezzi; troppo alti. Faccio chiamare un taxi che mi porta verso il centro, in un albergo più economico. Appena entrato in stanza crollo sul letto. Ho proprio bisogno di starmene sdraiato almeno per una decina di ore.
Rene'

giovedì 12 giugno 2008

Entrata a Sumatra

Il trasferimento Malesia-Indonesia, sulla cartina, sembra cosa da poco: un aliscafo da Melacca a Dumai e poi con il pullman fino a Pekanbaru (distanza intorno ai 150km). Il battello parte intorno alle 10 e prima delle 12 sono gia' a Dumai, sull'isola di Sumatra. Liscio.
Mi faccio portare da un moto-taxi alla stazione dei pullman; un enorme parcheggio con un unico bus in attesa sotto il sole cocente. Fortunamente e' diretto a Pekanbaru, la maggiore citta' di questa zona, e partira' da li a poco.
Faccio due conti: 150km da percorrere, una media di 50km orari; tra 3, al massimo 4 ore, dovrei essere a destinazione. Mi sbaglio. La strada e' asfaltata ma abbastanza disastrata: buche e tratti in sterrato ogni decina di kilometri; lavori in corso. Traffico intenso (e' l'unica strada che dalla costa est dell'isola porta a Pekanbaru) e alcuni fiumi esondati a causa di un alluvione non fanno che peggiorare le cose. Si viaggia a singhiozzo. La velocita' dei trasferimenti in Malesia e' presto dimenticata.
Sul pullman mi si affianca un tecnico petrolifero indonesiano di ritorno a casa per il fine settimana (e' un venerdi pomeriggio); abita a Pekanbaru e parla bene inglese perche' ha lavorato per anni per una compagnia statunitense. Dopo un po' che chiaccheriamo mi offre alloggio a casa sua per la serata; sono sorpreso: una proposta del genere non mi era ancora capitata!
A una trentina di km dalla citta' il traffico si blocca: un fiume ha rotto gli argini e sta sommergendo la strada. Si passa piano e uno alla volta. Alcune case sono per meta' coperte dall'acqua e gli inquilini stanno salvando il salvabile e si dirigono verso tratti di terreno asciutto. Brutta storia.
La giornata, che prevedevo tranquilla, si rivela molto lunga e quando il pullman arriva a Pekanbaru sono ormai le 20 passate. Il mio compagno di viaggio si scusa per non potermi piu' ospitare perche' ha un bambino molto piccolo che ha bisogno di dormire. Mi indirizza verso il taxi collettivo corretto (un piccolo minibus), destinazione centro citta', e mi saluta.
Mangio un piattone di riso fritto (nasi goreng, una delle specialita' nazionali) e poi mi infilo a letto. Ripenso un attimo ad oggi: non ho visto un viaggiatore, o straniero, e ho passato la giornata sul pullman.
L'indomani mi sveglio presto e prendo un bus per Bukittinggi, un paese sulla catena montuosa che percorre, da nord a sud, l'intera isola di Sumatra. E' la zona di incontro di due placche terrestri che, nel corso dei millenni, ha generato una cordigliera di vulcani alti fino a quasi 4000m e continua a scuotere periodicamente queste terre con violenti e improvvisi terremoti.
Il pullman e' un mezzo decrepito che si ferma in continuazione per caricare passeggeri: una specie di taxi gigante che casca a pezzi. Per coprire 200km scarsi impiego oltre 7 ore. 30km orari di media; non male...
Arrivato a Bukittinggi non so dove sistemarmi. Non ho ancora trovato una guida turistica per l'Indonesia e sto quindi "procedendo a vista" utilizzando unicamente una cartina geografica del paese. Mi trovo quindi a chiedere informazioni in continuazione e, non conoscendo la lingua, faccio fatica a farmi capire. Fermatomi presso un chiosco che vende cellulari (ce ne sono migliaia in Indonesia) chiedo indicazioni per un albergo economico e mi ritrovo in sella allo scooter del commesso che, prima di portarmi a destinazione, decide di fare un giro turistico di Bukittinggi. Mi lascia il suo numero di cellulare e chiede se ci possiamo incontrare domani. Beh, si, non vedo alcun problema... Si chiama Riki. Lo soprannominero'... Mollami!!!
Rene'

mercoledì 4 giugno 2008

Solo un gran baccano

Ancora un fine settimana a Kuala Lumpur. Sta per diventare la capitale nella quale ho passato il maggior numero di giorni.
E' il weekend del Gran Premio di Formula 1 e la citta' e' fully booked. Di ritorno dalla giungla (senza un paio di scarpe, abbandonate per eccessivo infangamento) mi sistemo una notte al Pondok Lodge, lasciato il giorno seguente perche' al piano inferiore si trova una discoteca che pompa musica house, di ottimo livello, fino alle 4. Le mura della mia stanza stavano letteralmente ballando e il letto vibrava, percosso da una violenta successione di bassi. Ma al Green Hut - la sistemazione successiva - le cose non e' che vadano meglio; il posto e' infestato da fastidiosissime pulci (o acari) che, nottetempo, si accaniscono senza pieta' su braccia e gambe inermi. Non sembrano risparmiare nessuno: tutti gli ospiti si grattano freneticamente e implorano "new bed sheets"; il problema, purtroppo, risiede altrove...
E' senza dubbio un fine settimana ad alto volume, complice la Formula 1, che porta in citta' turisti, feste (un party con dj Mauro Picotto dall'Italia, gia' attivo a Rimini nel corso della mia vacanza da maturando 18enne!), manifestazioni e un periodo di grandi saldi. Il Gran Premio sono andato a vederlo; perche' no? Sono in zona, dopotutto. Anche visto dal vivo lo spettacolo non cambia: una noia mortale con l'unica differenza, rispetto al salotto di casa, che il frastuono e' tale che senza tappi nelle orecchie si rischiano seri disturbi d'udito. Sara' per questo che forse ci si sente un poco part of the game.
Prima di lasciare definitivamente KL passo una serata con John, un simpatico ingegnere informatico malese di origine singaporegna conosciuto nel corso del mio soggiorno a Phuket; andiamo a cenare in un fantastico ristorante giapponese, dove ci si serve ad un buffet, e devo ammettere che, contrariamente alla maggior parte delle mie precedenti esperienze, il cibo e' davvero buono. John mi convince ad assaggiare il "pesce incinto" (un pesciolino di 15cm di lunghezza, ripieno di uova, infilzato e grigliato su uno spiedino) e mi racconta alcune credenze popolari cinesi come: mai girare un pesce mentre lo si mangia; significa che "una nave affondera'".
Dalla capitale mi porto quindi a Melacca, citta' sulle sponde dell' omonimo Stretto; un porto che ha visto il passaggio di portoghesi, olandesi, inglesi e che conserva ancora molte interessanti vestigia del passato. Non a caso e' riconosciuta come la capitale culturale della Malesia. Gli edifici coloniali olandesi, tinteggiati in vivaci colori pastello, sono stati trasformati in interessanti musei sulla lunga storia di Melacca.
Al giorno d'oggi l'impronta cinese sulla citta' e' forte e rappresentata dal vivace quartiere di Chinatown, dove si commercia antiquariato e l'aria e' carica del fumo azzurrognolo sprigionato dalle bacchette di incenso.
Sono gli ultimi giorni in Malesia e l'occasione quindi per terminare i miei ringgit (la valuta locale): una nottata in discoteca per la Ladies Night del mercoledi sera (divertente come sempre) e una serata al cinema per la prima di 10.000 BC che conferma la mia infelice statistica nella scelta dei film sul grande schermo: nell'80% dei casi si rivelano delle grosse cagate.
Conservo giusto il denaro necessario all'acquisto del biglietto per il traghetto da Melacca a Dumai: e' il 28 marzo e sto per salpare per l'Indonesia.
Rene'