domenica 23 dicembre 2007

Sette giorni in Tibet (2)

Quarto giorno

Dopo Shigatse, copriamo un altro breve tratto in macchina e arriviamo a Gyatse, piccola cittadina sulla via verso Lhasa. Qui visitiamo un monastero con una stupa molto interessante e soprattutto molto grande. La stupa e' un edificio sacro buddista che solitamente contiene le spoglie di monaci famosi e venerati (es. i Lama).
La stupa di Gyatse e' un impressionante conoide di 9 piani, interamente dipinto di candido bianco con in cima un pinnacolo dorato. All'interno della stupa, su ogni piano, si trovano delle stanze dove sono state posizionate statue di divinita'. Saliamo fino all' ultimo piano, con il fiatone, per godere di una ottima vista del paese e dell'ampia vallata. Dall'alto osserviamo i fedeli percorrere in senso orario il perimetro della stupa.
In serata, altra mano di poker che stavolta va ad una novizia danese che dice di giocare per la prima volta (ci crediamo?). Io perdo l'intera posta giocata.

Quinto giorno

E' la prima volta che ci svegliamo veramente presto. Alle 7.15 siamo gia' in strada per percorrere il tratto finale, destinazione Lhasa. C'e' da scollinare un passo a 4700m. Giunti alla sommita' fa ancora troppo freddo (siamo sicuramente sotto zero) e nessuno si azzarda a restare fuori dall' auto per piu' di 2 minuti. Giusto il tempo di scattare la foto di rito!
Lo stop successivo e' piu' piacevole e avviene verso le 11 di mattina. Siamo in cima ad un colle e sotto di noi la vista spazia su un lago di un colore blu incredibile. Intorno a noi si crea un gruppetto di venditori di souvenir tibetani che tentano invano di appiopparci una serie di ninnoli. Io e Matt, per scaldarci, saltiamo a perdifiato attorno ai tibetani esterefatti e immobili.
Ed eccoci a Lhasa, la mitica e tanto desiderata capitale del Tibet. Per molti del nostro gruppo e' un piccolo shock e forse c'e' anche un pizzico di delusione: la citta' piu' sacra dei tibetani e' infatti solamente un poco differente da quella che puo' essere una normale cittadina cinese nell'anno 2007. Intorno al Barkhor, il tempio piu' importante di Lhasa, resiste ancora un bel nucleo di case storiche, visibilmente minacciato dalla morsa dei lucenti e piastrellati palazzi multipiano cinesi, dai ristoranti per turisti, negozi di souvenir, boutique e fast foods. E' il vorticoso progresso in atto in Cina che si riflette anche quassu', nel remoto Tibet.
Oggi abbiamo il pomeriggio libero e molti ne approfittano per visitare il centro storico. Io sono in preda di un pesante attacco di cagarella, diagnosticato, insieme a David, come Giardia. Sintomi? Frequenti rutti al sapore di uovo marcio, eccesso di gas, stomaco e intestino gorgogliante. Prendo una dose di pillole e passo il pomeriggio in camera a leggere, sonnecchiare e guardare la tv. In serata sto gia' meglio, ma non mi avventuro in pericolose sperimentazioni gastronomiche.

Sesto giorno

Sto ottimamente: il pillolone deve avere fatto il suo dovere e ucciso il battere intruso. Non bene, invece, sta la ragazza danese che, dal primo giorno del viaggio, si porta dietro i sintomi del mal di montagna. La situazione e' peggiorata e si rende necessario il ricovero all' ospedale militare di Lhasa. L'unico rimedio, per lei, e' quello di scendere di quota. Cosa che verra' fatta, dopo due giorni, con un volo aereo verso la Cina.
Dopo una mattinata in liberta' ci ritroviamo con la nostra guida di fronte al Barkhor, il tempio buddista piu' importante di Lhasa. Rispetto agli altri templi visitati in Tibet questo, seppur architettonicamente molto bello, e' "freddo", senza vita. Non incontriamo o vediamo monaci che pregano o cantano. Quei pochi che avvistiamo pare abbiano piu' una funzione di controllo del flusso turistico e sono impegnati a smanettare sul cellulare. La nostra guida ci dice che questi monaci sono finti, spie del governo cinese! "All' interno del tempio" - continua - "e' assolutamente vietato parlare di politica" e con una mano ci indica una telecamera a circuito chiuso. Per chi si oppone alle politiche del governo di Pechino il passo verso la detenzione e' molto breve. Per noi e' comunque difficile capire, nel corso di questa breve visita in Tibet, quanto sia effettivamente stringente la morsa di Pechino e come questa si esplichi sui tibetani, la loro cultura e la loro terra.

Settimo giorno

In mattinata e' prevista la visita al Potala Palace, ex-residenza dell'ultimo Dalai Lama. E' certamente l'highlight del nostro Tibet trip. Il palazzo troneggia in cima ad una collina ed e' veramente maestoso; al suo interno si possono contare, tra sale e stanze, fino a 1000 camere.
Terminata la salita a zigo-zago verso l'ingresso e, ripreso fiato, ci apprestiamo a esplorare la parte aperta al pubblico (meno del 10% dell' intera struttura). Visitiamo, una dopo l'altra, stanze grandiose, con bellissime statue dorate, mobili finemente intarsiati e enormi stupe che contengono i resti di alcuni dei piu' famosi Lama tibetani. Il flusso di fedeli e' incessante. In ogni stanza i pellegrini lasciano una donazione di qualche centesimo e alimentano le lampade a olio con il burro di yak che si sono portati appresso per la visita. Questo colorato e folkloristico fiume di tibetani ci accompagna fino all' uscita e poi ai piedi della collina, dove inizia il percorso delle ruote di preghiera, che cinge tutto il perimetro del Potala. L'unica nota stonata di questa mattinata molto intensa e affascinante e il monumento che i cinesi hanno eretto nella piazza antistante al Potala, un gigantesco pisellone grigio di cemento.



A cena e' tempo di saluti e di scambio di email. Meta' del gruppo tornera' domani in aereo a Kathmandu. Gli altri (tra i quali ci sono io) sono ora di liberi di muoversi in terra tibetana, chi verso la Cina, chi verso il Nepal. Per chiudere al meglio il tour decidamo di andare in una discoteca tibetana che si rivela essere un teatro sul quale palcoscenico si alternano cantanti e gruppi di ballerini. Le performace migliori vengono premiate dal pubblico con lancio di pezzi di stoffa (lunghe sciarpe bianche) sul palco. Il pubblico in sala e' disposto intorno a rotondi tavoli ricoperti di lattine di birra. Anche noi ci adeguiamo, prendendo comodamente posto, per assistere a questo particolare spettacolo.

Chiusura

Terminato il tour resto ancora per due giorni interi in Tibet. Continua a fare freddo. Niente di cui meravigliarsi: dopotutto e' inverno e mi trovo a 3600m di quota. L'unico momento in cui ho veramente caldo e' quando sono sotto le coperte e aziono il riscaldamento naturale (avete capito...). Altrimenti sono sempre costretto ad essere coperto fin sopra i capelli, anche all'interno dei ristoranti. Non mi ricordo un locale, in questi sette giorni, che abbia avuto un riscaldamento! Di notte la temperatura scende sotto zero e penso di avere raggiunto il record in quanto a strati di vestiti: canottiera, t-shirt, maglietta a maniche lunghe in pile, camicia, maglione di lana, giubbotto di pile e giacca a vento: ben 7 strati!
Una mattina ci rechiamo con i resti del gruppo ad un monastero buddista tra i monti nei pressi di Lhasa, a 4600m. Partenza in pullman fissata alle 6.30. Il viaggio e' tremendo. Giunti in piazza alle 6.15 scopriamo che il bus e' gia' pieno di pellegrini tibetani. Siamo quindi costretti a sederci su mini-sgabelli di plastica nel corridoio del pullman. Non c'e' il riscaldamento e le gambe e i piedi mi si stanno letteralmente ghiacciando. Dopo un'ora e mezza di sofferenza arriviamo al monastero; sta albeggiando e intorno a noi le montagne sono ricoperte di un leggero strato di neve. Dobbiamo assolutamente scaldarci e ci rintaniamo quindi in un piccolo ristorante dove, grazie alla presenza di altri corpi, si e' creato un poco di calore. I tibetani ci offrono il loro the' che consiste in the', appunto, sale e burro di yak. Imbevibile. Per correttezza cerco di buttar giu' mezza tazza, rischiando di vomitare. Poi, visto che non si trova altro, passo a una piccantissima zuppa istantanea che mi scalda piacevolmente le pareti di stomaco e gola. Meglio passare all' attivita' fisica. Decidiamo di scalare il monte nei pressi del monastero. Una lunga e sfiancante passeggiata per coprire un dislivello di alcune centinaia di metri. Il fiato manca a tutti e ben presto l'ordinata fila si disunisce, come in un tappone di montagna al Giro d'Italia. Giunti in vetta, in un tripudio di bandierine colorate, siamo ripagati dalla purezza dei paesaggi tibetani: netti contrasti e un cielo di un blu incredibile.
Saluto definitivamente cio' che rimane del gruppo; loro hanno infatti deciso di fermarsi per una notte alla guesthouse del monastero mentre io, biglietto del treno gia' in mano (partenza fissata domani mattina alle 10), sono costretto a scendere e tornare a Lhasa. Non che mi dispiaccia; di passare una notte in una gelida stanza a 4600m di quota non ne avevo proprio voglia!
Rene'

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Fratellone!!!!

Buon anno!! Capodanno a Amsterdam come sempre spettacolare!! e tu? fuochi d'artificio in vietnam?

manca poco alla riunione famigliare, meno di 4 settimane!

a presto ciao ciao