domenica 7 settembre 2008

Nel regno dell' ONU

Se siete curiosi di sapere cosa fa l’ONU, questo misterioso istituto sovranazionale, una vacanza a Timor Est puo’ rivelarsi interessante. Il paese e’ infatti amministrato dalle Nazioni Unite, pur essendo indipendente dal 2002; per dovere di cronaca vi ricordo che e’ la nazione piu’ giovane della Terra.
Passeggiando per le strade di Dili (la capitale) non si puo’ fare a meno di notare le numerose ferite di un sanguinoso passato caratterizzato da colonialismo, saccheggi, rivolte, guerriglia e barbarie: edifici che cascano a pezzi, strade con enormi buche, segni di proiettili sui muri delle case, scritte violente, aiuole e parchi trasformati in campi profughi. Gli abitanti di Timor sono sempre stati dominati: prima dai portoghesi, poi dagli indonesiani e ora dai caschi blu dell’ONU. La presenza di questi ultimi, sia in termini militari che amministrativi, e’ massiccia. Le candide Toyota Landcruiser con i letteroni neri UN stampati sulle fiancate sfrecciano in mezzo agli sgangherati taxi timoresi; serve un occhio attento agli attraversamenti pedonali, per non finire stesi.

Il fatto che ci sia l’ONU induce la popolazione locale a pensare che qualsiasi straniero presente sul territorio sia in qualche modo coinvolto in lucrose attivita’ (i soldi che arrivano per la ricostruzione di Timor sono tanti, ma ben pochi finiscono nelle tasche della popolazione; penso vengano in gran parte utilizzati per alimentare la “macchina” ONU). La prima domanda che viene posta non e’ infatti “where are you from?” bensi “who do you work for?”; per chi lavori? Io spiego di essere un turista, un viaggiatore interessato a scoprire il paese. Stupore.
Di curiosi o intrepidi visitatori come me ce ne sono veramente pochi. Per lo piu’ si incontrano all’ East Timor Backpackers, forse l’unica sistemazione “budget” della capitale: 10 dollari USA (la valuta “locale”) per una notte in camerata su materassi minimi e rigide reti metalliche. Purtroppo, grazie all’ONU, i prezzi per gli stranieri sono molto inflazionati e cio’ che si paga non e’ per nulla relazionato a quello che si riceve. Un doloroso passo indietro, dopo tutte le camere singole delle quali ho goduto negli altri Paesi asiatici.
Timor sta abbastanza con il culo per terra (il reddito annuo pro capite, di poco sopra i 100 dollari, e’ tra i piu’ bassi del mondo): l’agricoltura e’ per lo piu’ di sussistenza, non c’e’ industria o terziario e gran parte degli alimenti devono essere importati. L’infrastruttura turistica e’ assente; significa quindi che per girare bisogna organizzarsi. Vi chiederete a questo punto a cosa serva tutto questo circo dell’ ONU. Presto spiegato: al largo della costa sud orientale c’e’ un grosso giacimento petrolifero. Insomma c’e’ sempre di mezzo l’oro nero! E la torta chi se la mangia? Banalmente: USA, Australia e politici locali controllano il petrolio; i portoghesi si occupano di telecomunicazioni (monopolio), i cinesi hanno in mano il commercio e i timoresi, ancora una volta, non riescono a fare i padroni a casa loro. E’ il colonialismo nell’ anno 2008.
Ma torniamo alle mie vicissitudini...
Visto che non sono qui a fare giornalismo d’inchiesta (anche se varrebbe la pena) decido di lasciare per alcuni giorni Dili e di avventurarmi nell’entroterra. Decisione saggia che mi pemette di incontrare dei volti un poco piu’ allegri rispetto a quelli incrociati nella capitale. Con uno scooter a noleggio – un temibile mezzo di produzione cinese, piu’ simile ad una bicicletta motorizzata che ad una moto – mi sposto a Maubisse, un gradevole e sgangherato paese su per i monti al centro dell’isola; si trova in posizione panoramica, a 1600m di altezza, circondato da colline avvolte in fresche nubi. Ogni volta che salgo di quota continuo a stupirmi di come, pur trovandomi in una fascia equatoriale, possa fare freddo a certe altezze; forse e’ dovuto al fatto che il fisico subisce uno shock termico al variare repentino delle temperature. Meno male che sono partito attrezzato da Dili; pantaloni, camicia, giacca a vento e sacco a pelo mi permettono di passare una ottima nottata: una super dormita, in camera singola, su un comodo materasso. Al Bed&Breakfast dove alloggio si trovano anche 2 ingegneri, uno di Timor, l’altro indonesiano, che mi illustrano il progetto al quale stanno lavorando: una serra per la coltivazione di ortaggi poco lontano da Maubisse. Chiaccherando con loro ho la conferma della disastrata situazione dell’economia locale; ogni piccolo passo, ogni miglioria – mi spiegano – e’ una grande conquista.
In una lunga giornata alla guida del mio mezzo lascio il B&B e arrivo a toccare le acque della costa orientale dove una incantevole ragazza mi riempie il serbatoio con la benzina necessaria per tornare a Maubisse. Scelgo di percorrere una strada alternativa per raggiungere l’altopiano: sulla carta e’ piu’ breve ma ben presto si rivela... parecchio accidentata. Il percorso taglia dritto dalla costa fino a Maubisse e sale ripido, serpentino, sui fianchi delle montagne. L’asfalto lascia subito strada ad uno sterrato che da ciottoloso, complice il clima umido, si trasforma in fango. Procedo molto lentamente, con cautela, e, quasi miracolosamente, raggiungo la cima del passo senza scivolare. Arrivo alla base che e’ gia’ buio, mi riempio lo stomaco e mi infilo a letto sfinito.
L’indomani rientro a Dili per un breve pit stop; decido infatti di ripartire quasi subito, nel primo pomeriggio, alla volta di Baucau, la seconda citta’, per numero di abitanti, di Timor.
La strada segue la linea costiera ed e’ molto scenica; spiaggie di sabbia bianca si alternano ad alte scogliere rocciose. E’ una costa frastagliata, dove l’azzuro del mare contrasta con le tonalita’ gialle e marroni della vegetazione, fatta di piccoli alberi, arbusti e lunghi, taglienti, fili d’erba. La carreggiata e’ sinuosa; l’asfalto e’ ok. Faccio sosta per alcune foto; poi riparto. Tutto procede bene. Mi rilasso. Troppo.
Entro spedito in una curva. A questo punto l’istinto mi dice di evitare la frenata brusca; rischio infatti di cadere sull’asfalto e di sbucciarmi tutto. Opto quindi per una decelerazione dolce. Allargo la traiettoria della curva finendo prima sulla ghiaietta al lato della strada e poi sull’ erba dove un sasso, nascosto sotto la vegetazione, interrompe bruscamente la corsa dello scooter e mi proietta in aria oltre il mezzo.

Crash, boom, bang

Accade tutto molto in fretta. Atterro faccia in giu’, nell’erba. Mi rialzo prontamente e inizio a controllarmi freneticamente. Tasto il viso con le mani. Perdo sangue. Ho il naso sbucciato, abrasioni sul labbro e all’interno della bocca. I denti ci sono ancora tutti. Sospiro di sollievo. Poi qualche graffio sul braccio, poca roba. Avverto un dolore, che si va intensificando, al piede destro; ho la caviglia slogata. Piu’ in alto, all’altezza del ginocchio, proprio sulla rotula, individuo un taglio lungo un centimetro, abbastanza profondo. Dalla ferita sgorga una striscia di sangue che mi riga la tibia. Sono in uno stato di semi-shock e mi muovo in continuazione. Raccolgo lo zaino, cerco l’acqua, rialzo il motorino. Intanto si e’ fermato un pick-up con a bordo 3 persone del posto. Mi offrono dell’acqua e dei fazzoletti. Mi sciacquo e cerco di pulire le ferite. Sono pieno di polvere. Cerco di far mente locale. Mi dicono di essere diretti a Baucau e si offrono di caricare lo scooter, me compreso, sul retro. Accetto.
Non ricordo quanto tempo e’ passato su quel pick-up, seduto su una cassa, con una mano attaccata allo scooter e l’altra al fianco della macchina. Forse 1 ora, forse di piu’, in preda ai sobbalzi, alle frenate, ai dolori. Ogni tanto qualcuno dall’interno dell’abitacolo si girava e mi faceva dei cenni; forse controllava se ero ancora li; che non fossi volato via...
La corsa termina al Pronto Soccorso di Baucau. Difficile da descrivere. Una accozzaglia di piccoli edifici; a tratti sembra di trovarsi in una scuola abbandonata. Sale vuote. Altre con rifiuti e vecchi mobili accatastati. Non riesco a camminare. La caviglia si e’ gonfiata e mi fa molto male, cosi come il ginocchio. Due infermieri mi sorreggono e mi aiutano a raggiungere una stanza. Qui un altro infermiere mi fa stendere su un lettino ed inizia a disinfettarmi le ferite. Mi trovo in una piccola stanza, sporca, con attrezzature mediche sparpagliate a destra e a manca. Mentre ricevo le cure arriva un altro paziente, trasportato da 4 persone, che finisce su un lettino vicino al mio. Non so cosa sia successo a lui. Mugugna, soffre, si tocca un fianco e per ben 2 volte rischia di cascar per terra. Non oso guardare. Intanto l’infermiere e’ arrivato al ginocchio, prende un ago, mi guarda e dice “now pain”. Cazzo, capisco cosa ha in mente. Una sutura senza alcun tipo di anestetico. Metto una mano in bocca e la morsico mentre il tipo procede con le operazioni di piercing. Per fortuna il taglio non e’ troppo lungo, altrimenti sarei sicuramente svenuto!
Terminate le cure mi chiedono se ho un posto dove stare. Rispondo di no. Non so dove andare e non ho la forza di muovermi. Chiedo se c’e’ un letto libero qui all’ospedale. Mi fanno quindi accomodare in un’altra stanza con due letti. Mi sdraio e cerco di capire se hanno qualcosa da mangiare. Dopo una ventina di minuti l’infermiere che mi ha assistito mi porta una ciotola di pollo speziato con del riso bollito. Mangio tutto. Inghiotto una pillola di anti-dolorifico e cerco di dormire. Fuori e’ buio. Sogno di potermi addomentare e di svegliarmi guarito. Sogno.
Rene'

4 commenti:

Unknown ha detto...

Ciao Renè, Sono Elena. Ti ho scritto una mail ma non so se le leggi. Per identificarmi ti do gli stessi indizi: ricci a profusione componente della mitica 3 D! Mi sono imbattuta nel tuo blog che sto leggendo con emozione. Davvero coinvolgente ed interessante. Sarai il nuovo Terzani? Nel caso devo assolutamente tirare fuori dal baule impolverato una foto vergognosa delle medie così io divento la nuova Fabrizia Corona!
Non commento l'ultimo post perchè ho iniziato a leggere l'altro ieri e sono ancora ad ottobre 2007. Dammi qualche giorno e recupero. Che con la fantasia si va più in fretta. Buona strada.

Unknown ha detto...

ma renato!!! ti lascio un momento nella pausa estiva, e mi voli giù???

scherzi a parte: dacci notizie su come stai. la caviglia (che mi sembra la cosa peggiore)?

un abbraccio

mik

René van Olst ha detto...

Sto bene. Mi sono ripreso e sono a Perth. Il viaggio continua...
abbracci

Anonimo ha detto...

ouch ouch ouch... che dolore... quello che aveva raccontato la mamma allora dell'incidente sembrava gia' abbastanza grave... ma adesso, letto cosi', con tutti i dettagli, fa 100 volte piu' effetto!! ouch che male....