venerdì 20 marzo 2009

Resoconto di 3 mesi australiani

ovvero, come guadagnarsi il viaggio di ritorno verso l'Italia con 3 mesi di lavoro in Australia

Quello che e' successo

Australia, dicembre 2008 - fine marzo 2009: ho come unico obiettivo la raccolta di fondi per il proseguimento del viaggio. Quindi: lavoro, lavoro, lavoro.
Non ho molto tempo a disposizione. L'opzione piu' rapida sembra essere l'impiego in una fattoria nella raccolta di frutta. Mi rimetto in contatto con Niko, un ragazzo tedesco conosciuto mesi prima a Melbourne e lo scopro al lavoro come raccoglitore di pomodori a Childers, in Queensland, 300km a nord di Brisbane.
Da Sydney, dove ho passato una settimana a cazzeggiare, mi sposto quindi nella immensa provincia australiana, tra canne di zucchero, aranceti e piantagioni di ananas e avocado. Childers e' un piccolo paese di 3000 anime. Qui sono tutti piu' o meno impiegati nell'industria agricola. A vari livelli, sono tutti contadini.
Niko mi aspetta alla fermata del pullman - presso il distributore della Shell - e mi porta col suo sgangherato campervan Mazda al Childers Central Caravan Park, piu' che un campeggio, un accampamento. Io e Niko, una coppia di giovani tedeschi e un ragazzo giapponese siamo gli unici "work & holidayers" stanziati qui; gli altri sono australiani all'ultimo livello della scala sociale: reietti, ex-tossici, alcolizzati, semi-vagabondi che campano grazie ad aiuti statali e saltuari lavori nei campi. C'e' anche un piccolo gruppo di stranieri che, a causa della barriera linguistica, non trova altro lavoro se non quello agricolo: nepalesi e coreani, che vivono praticamente segregati nelle loro roulotte.
Io dormo con Niko all'interno del suo camper; anche gli altri tedeschi stanno in un van mentre Ryo, il giapponese, dorme in tenda. Ci siamo piazzati intorno all'area cucina del campeggio: 4 bruciatori a gas, un tavolo di legno e un vecchio frigo coperti da un tetto in lamiera. E' la nostra zona. Gli australiani vivono e cucinano all'interno delle loro roulotte.
Il campeggio e' economico: pago l'equivalente di 30 euro alla settimana; in compenso i servizi hanno visto giorni migliori: i cestini traboccano di rifiuti, i bagni sono tristemente ammuffiti e nell'area della raccolta differenziata un mucchio di lattine di birra sta assumendo dimensioni piramidali.
Non ci metto molto a capire che il campeggio e' uno dei disonori di Childers: un mini Bronx ai margini del paese, visitato a giorni alterni da una pattuglia della polizia locale. Se fossimo in Italia, sarebbe come l'accampamento degli zingari. L'altro disonore e' un rogo che nel 2000 ha distrutto l'unico ostello del paese e ucciso 10 giovani viaggiatori. Un incendio doloso che ha lasciato una profonda ferita in questo piccolo centro provinciale. Passeggiando per la strada principale, fiancheggiata da graziose case in legno datate inizio Novecento, si respira un'aria di diffidenza. Forse gli stranieri, qui, non sono proprio bemvenuti. Finora, in nessuna parte del mondo, se non a Childers mi e' capitato di sentire un "go home!" urlato dal finestrino di una macchina in corsa. Senonche' al campeggio mi sento benvoluto e dopo una settimana esatta anche per me scatta l'ora del lavoro nei campi. La sveglia e' puntata alle 4,15. Alle 5 comincia il lavoro in fattoria che si protrae fino alle 13,30 quando brutali temperature rendono il lavoro fisico insopportabile. Il pomeriggio e', letteralmente, sonnolento; alla cena, consumata non oltre le 19, seguono un paio di birre conviviali e la giornata si spegne, definitivamente, intorno alle 21.30
A Childers passo Natale e Capodanno 2008-09, occasioni nelle quali si e' cercato di compensare la dura vita agricola con ricche cene e abbondanza di birra. Avendo lavorato anche il 31 dicembre la veglia e' stata per molti cosa assai breve. Provati da una bevuta pomeridiana di birre doppio malto, Ryo alza bandiera bianca poco dopo le 20, Niko si ritira alle 22 mentre io, per pura cocciutaggine, riesco a tirare fino a mezzanotte e mezza. L'ultimo giorno dell'anno e' stato caratterizzato da una rissa, nel corso del pomeriggio, che ha visto l'intervento delle forze dell'ordine locali con ben 2 volanti. Un nerboruto neozelandese si accaniva violentemente su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Il nuovo anno non e' iniziato diversamente. La mia doccia mattutina e' stata ritardata da una enorme vomitata che ha occluso lo scarico e costretto la povera signora delle pulizie ad un intervento forzato con la Vaporella.
Con il passare dei giorni cio' che sembra strano diventa normale e si familiarizza con questo posto. Carrie, un 54enne australiano provato dagli anni, ci intrattiene con le sue storie di vita: dice di essere in pensione, spaccia marjuana in campeggio e non beve meno di 30 lattine di birra al giorno. Come lui, il campeggio e' pieno di gente particolare. Larry - che deve essere intorno ai 35 anni - fuma bong per tutto il giorno, tossisce, impreca e quando lo vedo mangiare consuma solo bacon: e' ridotto ad uno stecco. Poi c'e' Steve, dai lunghi capelli biondi e con i denti anneriti che, guardandoti con una birra in mano, dice di avere 2 figli: non ha ancora 30 anni; poi c'e' un tipo che ascolta musica death-metal a palla mentre lancia violentemente oggetti contro i muri in lamiera della sua roulotte; e c'e' la ragazza tatuata e senza denti insieme ad un uomo che non si capisce se sia suo padre o il suo compagno; e infine c'e' la roulotte con la TV sempre accesa, giorno e notte, 24 ore su 24, dove una sera, sbiarciando dalla porta aperta ho visto un ragazzo che dormiva collassato sul tavolo, supino, con un braccio a penzoloni e il pavimento disseminato di lattine vuote.
Childers e' un paese senza fronzoli, selvatico, dove le formiche ti mangiucchiano le gambe e la terra rossa ti si attacca alla pelle; dove alla mattina si lavora nei campi, al pomeriggio si beve e alla sera si fa a botte al pub; dove probabilmente non e' cambiato molto dalla data di fondazione a inizio Novecento. Mi stavo gia' preparando a passare un paio di mesi in questa cornice rurale quando, al termine di un turno di lavoro, ci hanno comunicato che avrebbero sostituito il nostro gruppo di lavoro. Si, il mio, e quello di Nico, di Ryo, di Andy e di Nina. In quello stesso istante tutto ha perso il suo significato; niente aveva piu' senso: l'infame impiego a strappare erbaccie sotto il sole per 8 ore, Childers, il campeggio, la provincia australiana, dormire rannicchiato in un camper accanto a Nico, i week-end a pescare. Anche la birra aveva perso il suo sapore. Era giunto il tempo di cambiare. Erano passate solo 2 settimane.


La prossima mossa

Puntare a nord o tornare verso sud? Nord significa Rockhampton e un possibile impiego in un mattatoio in quella che viene chiamata "the beef capital of Australia". A sud invece c'e' Hervey Bay, 50mila abitanti e punto di partenza verso l'isola sabbiosa piu' grande al mondo: Fraser Island. Dalla "Bay" come la chiamano i locals, transitano ogni anno oltre 1 milione e mezzo di turisti. Decido che la prospettiva di un lavoro nel settore turistico e' migliore di quella nell'industria della macellazione.
A volte in Australia le cose succedono in fretta e la cosa e' particolarmente gradevole se si tratta di lavoro. Arrivato a Hervey Bay nel primo pomeriggio di un giovedi di inizio gennaio, passo il resto della giornata a cercare lavoro negli ostelli; da ultimo, non potendolo visitare direttamente, telefono all'unico ostello su Fraser Island. Venerdi mattina ricevo una risposta affermativa da Fraser e sabato sono gia' sull'isola pronto ad iniziare come aiuto-cuoco al Fraser Island Backpackers.
Penso che per chi non ci sia mai stato, Fraser Island sia difficile da immaginare. E' lunga 120 kilometri, larga oltre 20, e composta unicamente di sabbia. E' ricoperta da una densa vegetazione, fatta di erba e cespugli lungo le coste, che si trasforma in foresta sub-tropicale man mano che ci si sposta verso l'interno dell'isola dove, insieme a maestosi pini di oltre 60metri, si cela una caratteristica unica al mondo: laghi di acqua dolce, alcuni incredibilmente cristallini, circondati da dune di sabbia bianchissima. Fraser Island e' chiamata dagli aborigeni K'Gari, che significa Paradise Island e non si fatica a capire il perche': l'abbondanza di acqua dolce e potabile, poiche' filtrata dagli strati di sabbia, e' incredibile; la natura e' splendida, selvaggia, incontaminata. I primi bianchi arrivati sull'isola hanno cercato di sfruttarne le risorse, soprattutto il prezioso legno, ma il terreno sabbioso rendeva difficile il trasporto degli enormi alberi abbattuti. Cosi l'isola e' rimasta in gran parte intatta e scarsamente popolata; poco meno di 500 persone hanno deciso di farne la propria casa.
Io sto a Happy Valley, una trentina di case a pochi passi dal mare, nascoste da una fila di dune. C'e' un piccolo negozio, due pompe di benzina, un ristorante, un telefono pubblico e una cassetta per la posta; tutto all'interno del resort dove lavoro. Il perimetro di Happy Valley e' interamente recintato, per difenderla da una delle insidie dell'isola: i dingo che, grazie all'assenza di cani su Fraser Island, sono tra i piu' puri d'Australia. Non che sia un animale particolarmente minaccioso, ma va comunque tenuto d'occhio perche' puo' diventare aggressivo se e' alla ricerca di cibo; una decina di anni fa un dingo ha attaccato e ucciso un bambino.
Fraser Island e' l'essenza della vita all'aria aperta: si campeggia sulla spiaggia, si pesca, si circola in 4x4 su strade di sabbia e si fa il bagno in torrenti d'acqua dolce. Qui tutto mi sembra grande: le lurcetole, i ragni, gli alberi, le onde del mare. Gia'; il mare. Le sue acque sono off-limits a causa di meduse, correnti maligne e squali. E' una strana sensazione, quella di averlo cosi vicino, di sentirlo sempre presente, anche di notte, quando solo in camera tua, a 200 metri dalla spiaggia, lo senti rombare in lontananza; quella di poter correre sulla sua spiaggia ma di non poterci entrare, di far parte di esso; come una forza troppo intensa per essere dominata.
Pur non avendo mai lavorato in una cucina riesco, nel giro di un paio di giornate, a prendere in mano la situazione. Quotidianamente, a pranzo, ci sono fino a 80 bocche da sfamare e io mi occupo della preparazione di un buffet freddo composto da svariate insalate, affettati, pollo arrosto e frutta. Insomma, un sacco di roba da tagliare ma, nel compenso, è una attivita' fattibile e le serate sono più leggere: a parte il fine-settimana, non c'è mai troppa gente. Oltre a cucinare, faccio anche i piatti e pulisco la cucina alla fine del servizio; a volte lavoro fino a quasi 12 ore al giorno!
Dopo la cucina, dopo il lavoro, c'e' Fraser Island e la sua natura selvaggia: una spiaggia, pressoche' deserta, sulla quale correre; un torrente d'acqua dolce nel quale fare il bagno; il relitto arrugginito di una nave, naufragata oltre settant'anni fa. Insieme ad una stanza singola e alla TV satellitare mi sento veramente su Paradise Island e ho la sensazione di diventare isolano, uno "del posto".
Passo 2 mesi interi a Fraser, tra giornate di lavoro e serate tranquille davanti all TV, talvolta intervallate da notti un poco piu' animate quando, insieme ai colleghi, spulcio tra le 20mile canzoni del jukebox del bar a cercare il perfetto mix festaiolo; pian piano si finisce tutti dietro al bancone del bar dove la birra scorre "libera" dalle spine. Notti di trasgressione che lasciano il segno: la cuoca e il suo ragazzo - il gestore del bar - litigano e si lasciano al termine di una serata alcolica: lei abbandona l'isola mentre lui viene licenziato, forse a causa dello spropositato consumo di free-drinks. La gestione del resort interviene; è pugno di ferro: nuova manager per il bar, niente piu' crediti per il jukebox, stop ai free-drink. L'abbacchiato personale si ritira quindi nei propri "quartieri" dove vengono organizzati periodici festini a base di alcol, importato a prezzi modici dalla terraferma, e TV con volume a palla sintonizzata su MTV. Basta poco per divertirsi; ma non toglieteci la "brocca della felicita'": un boccale da un litro, riempito con fondi di bottiglia (vodka, whisky, ecc), gassosa e manciate di ghiaccio, cosi denominato in onore di Happy Valley, da alzare al cielo, sotto una notte carica di stelle, come fosse la coppa del mondo!
Nei miei ultimi giorni su Fraser c'e' stata pure la minaccia di un ciclone tropicale, che si stava per abbattare sull'isola. Hamish (denominato in questo modo dai meteorologi australiani) ha risparmiato Fraser e si e' ridotto a spazzarla con forti venti che hanno costretto comunque a chiudere l'isola ai turisti per quasi una settimana. Il mare ingrossato si e' spinto fino alle dune, cancellando la spiaggia che, in condizioni normali, e' larga una cinquantina di metri. Me ne sono andato cosi, da un'isola semi-deserta, con il cielo grigio e il mare in burrasca; con le scarpe piene di sabbia, lasciatami in eredita' dall'isola sabbiosa piu' grande al mondo.
Di nuovo sulla terraferma non mi restano che 7 giorni in Australia; per trasferire i fondi, chiudere il conto corrente, fare la dichiarazione dei redditi e sperare in un rimborso delle tasse.
Poi sara' di nuovo Asia.

Quello che sara'

Penso che a questo punto sia veramente giunto il momento di porre la parola fine a questo blog, che ha raccontato la storia del mio viaggio da Mosca a Melbourne e oltre. Nei prossimi 5 mesi saro' di nuovo sulla strada: viaggiero' dall' Australia all' Italia passando per Malesia, Indonesia, Thailandia, India, Pakistan, Iran e Turchia. Se tutto procede bene, dovrei arrivare in Lombardia nell'ultima settimana di agosto. Oltre a viaggiare non ho ancora deciso cosa faro' nel corso di questo periodo. Sento di avere ancora voglia di scrivere un poco e a tal proposito ho creato il blog posto che vai
L'idea e' quella di raccontare il paese nel quale sto viaggiando con notizie, curiosita', aneddoti. Forse scrivero' di meno e cerchero' di inserire un maggior numero di foto e video (connessioni internet permettendo). Sara' quindi meno "diario di viaggio" e piu' "documentario".
Vi invito a selezionarlo tra i vosti siti preferiti e... continuate a seguirmi!
Grazie e ciao
Rene'


6 commenti:

Anonimo ha detto...

stupendo questo ultimo racconto! quasi quasi mi scappa una lacrimuccia.. ;-)

leggero' il blog nuovo! e vedi di essere di ritorno per il 29 agosto!!!

ciao ciao bacio

René van Olst ha detto...

sono gia' sul viaggio di ritorno!
sulla mia pagina di facebook il ragazzo giapponese mi ha taggato in alcune foto del campeggio agricolo!

Anonimo ha detto...

ciao René, anch'io ho letto questo stupendo racconto! mi [ piaciuto un sacco.- visto che sei già su Sumatra - hai già visto gli Orang-Utan.
ciao ciao - bacione - mammi

Unknown ha detto...

Hey! concordo con Daniela, struggente l'immagine dell'addio all'Australia...

buon ritorno :-)

Anonimo ha detto...

Davvero molto interessanti le tue avventure... penso sia uno dei pochi, se non l'unico, blog interessante che trovo in internet da... da un bel po' di tempo. Potresti gentilmente dirmi come ti chiami su facebook mandandomi una mail a questo indirizzo: davirxx@gmail.com ?? Così che io possa aggiungerti ^^ saluti,

Dave

Francesco Dendi ha detto...

Ciao, Sono contento di aver scoperto il tuo blog. E' bellissimo. Ringrazio la natura per aver creato persone come te.