sabato 7 maggio 2011

venerdì 20 marzo 2009

Resoconto di 3 mesi australiani

ovvero, come guadagnarsi il viaggio di ritorno verso l'Italia con 3 mesi di lavoro in Australia

Quello che e' successo

Australia, dicembre 2008 - fine marzo 2009: ho come unico obiettivo la raccolta di fondi per il proseguimento del viaggio. Quindi: lavoro, lavoro, lavoro.
Non ho molto tempo a disposizione. L'opzione piu' rapida sembra essere l'impiego in una fattoria nella raccolta di frutta. Mi rimetto in contatto con Niko, un ragazzo tedesco conosciuto mesi prima a Melbourne e lo scopro al lavoro come raccoglitore di pomodori a Childers, in Queensland, 300km a nord di Brisbane.
Da Sydney, dove ho passato una settimana a cazzeggiare, mi sposto quindi nella immensa provincia australiana, tra canne di zucchero, aranceti e piantagioni di ananas e avocado. Childers e' un piccolo paese di 3000 anime. Qui sono tutti piu' o meno impiegati nell'industria agricola. A vari livelli, sono tutti contadini.
Niko mi aspetta alla fermata del pullman - presso il distributore della Shell - e mi porta col suo sgangherato campervan Mazda al Childers Central Caravan Park, piu' che un campeggio, un accampamento. Io e Niko, una coppia di giovani tedeschi e un ragazzo giapponese siamo gli unici "work & holidayers" stanziati qui; gli altri sono australiani all'ultimo livello della scala sociale: reietti, ex-tossici, alcolizzati, semi-vagabondi che campano grazie ad aiuti statali e saltuari lavori nei campi. C'e' anche un piccolo gruppo di stranieri che, a causa della barriera linguistica, non trova altro lavoro se non quello agricolo: nepalesi e coreani, che vivono praticamente segregati nelle loro roulotte.
Io dormo con Niko all'interno del suo camper; anche gli altri tedeschi stanno in un van mentre Ryo, il giapponese, dorme in tenda. Ci siamo piazzati intorno all'area cucina del campeggio: 4 bruciatori a gas, un tavolo di legno e un vecchio frigo coperti da un tetto in lamiera. E' la nostra zona. Gli australiani vivono e cucinano all'interno delle loro roulotte.
Il campeggio e' economico: pago l'equivalente di 30 euro alla settimana; in compenso i servizi hanno visto giorni migliori: i cestini traboccano di rifiuti, i bagni sono tristemente ammuffiti e nell'area della raccolta differenziata un mucchio di lattine di birra sta assumendo dimensioni piramidali.
Non ci metto molto a capire che il campeggio e' uno dei disonori di Childers: un mini Bronx ai margini del paese, visitato a giorni alterni da una pattuglia della polizia locale. Se fossimo in Italia, sarebbe come l'accampamento degli zingari. L'altro disonore e' un rogo che nel 2000 ha distrutto l'unico ostello del paese e ucciso 10 giovani viaggiatori. Un incendio doloso che ha lasciato una profonda ferita in questo piccolo centro provinciale. Passeggiando per la strada principale, fiancheggiata da graziose case in legno datate inizio Novecento, si respira un'aria di diffidenza. Forse gli stranieri, qui, non sono proprio bemvenuti. Finora, in nessuna parte del mondo, se non a Childers mi e' capitato di sentire un "go home!" urlato dal finestrino di una macchina in corsa. Senonche' al campeggio mi sento benvoluto e dopo una settimana esatta anche per me scatta l'ora del lavoro nei campi. La sveglia e' puntata alle 4,15. Alle 5 comincia il lavoro in fattoria che si protrae fino alle 13,30 quando brutali temperature rendono il lavoro fisico insopportabile. Il pomeriggio e', letteralmente, sonnolento; alla cena, consumata non oltre le 19, seguono un paio di birre conviviali e la giornata si spegne, definitivamente, intorno alle 21.30
A Childers passo Natale e Capodanno 2008-09, occasioni nelle quali si e' cercato di compensare la dura vita agricola con ricche cene e abbondanza di birra. Avendo lavorato anche il 31 dicembre la veglia e' stata per molti cosa assai breve. Provati da una bevuta pomeridiana di birre doppio malto, Ryo alza bandiera bianca poco dopo le 20, Niko si ritira alle 22 mentre io, per pura cocciutaggine, riesco a tirare fino a mezzanotte e mezza. L'ultimo giorno dell'anno e' stato caratterizzato da una rissa, nel corso del pomeriggio, che ha visto l'intervento delle forze dell'ordine locali con ben 2 volanti. Un nerboruto neozelandese si accaniva violentemente su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Il nuovo anno non e' iniziato diversamente. La mia doccia mattutina e' stata ritardata da una enorme vomitata che ha occluso lo scarico e costretto la povera signora delle pulizie ad un intervento forzato con la Vaporella.
Con il passare dei giorni cio' che sembra strano diventa normale e si familiarizza con questo posto. Carrie, un 54enne australiano provato dagli anni, ci intrattiene con le sue storie di vita: dice di essere in pensione, spaccia marjuana in campeggio e non beve meno di 30 lattine di birra al giorno. Come lui, il campeggio e' pieno di gente particolare. Larry - che deve essere intorno ai 35 anni - fuma bong per tutto il giorno, tossisce, impreca e quando lo vedo mangiare consuma solo bacon: e' ridotto ad uno stecco. Poi c'e' Steve, dai lunghi capelli biondi e con i denti anneriti che, guardandoti con una birra in mano, dice di avere 2 figli: non ha ancora 30 anni; poi c'e' un tipo che ascolta musica death-metal a palla mentre lancia violentemente oggetti contro i muri in lamiera della sua roulotte; e c'e' la ragazza tatuata e senza denti insieme ad un uomo che non si capisce se sia suo padre o il suo compagno; e infine c'e' la roulotte con la TV sempre accesa, giorno e notte, 24 ore su 24, dove una sera, sbiarciando dalla porta aperta ho visto un ragazzo che dormiva collassato sul tavolo, supino, con un braccio a penzoloni e il pavimento disseminato di lattine vuote.
Childers e' un paese senza fronzoli, selvatico, dove le formiche ti mangiucchiano le gambe e la terra rossa ti si attacca alla pelle; dove alla mattina si lavora nei campi, al pomeriggio si beve e alla sera si fa a botte al pub; dove probabilmente non e' cambiato molto dalla data di fondazione a inizio Novecento. Mi stavo gia' preparando a passare un paio di mesi in questa cornice rurale quando, al termine di un turno di lavoro, ci hanno comunicato che avrebbero sostituito il nostro gruppo di lavoro. Si, il mio, e quello di Nico, di Ryo, di Andy e di Nina. In quello stesso istante tutto ha perso il suo significato; niente aveva piu' senso: l'infame impiego a strappare erbaccie sotto il sole per 8 ore, Childers, il campeggio, la provincia australiana, dormire rannicchiato in un camper accanto a Nico, i week-end a pescare. Anche la birra aveva perso il suo sapore. Era giunto il tempo di cambiare. Erano passate solo 2 settimane.


La prossima mossa

Puntare a nord o tornare verso sud? Nord significa Rockhampton e un possibile impiego in un mattatoio in quella che viene chiamata "the beef capital of Australia". A sud invece c'e' Hervey Bay, 50mila abitanti e punto di partenza verso l'isola sabbiosa piu' grande al mondo: Fraser Island. Dalla "Bay" come la chiamano i locals, transitano ogni anno oltre 1 milione e mezzo di turisti. Decido che la prospettiva di un lavoro nel settore turistico e' migliore di quella nell'industria della macellazione.
A volte in Australia le cose succedono in fretta e la cosa e' particolarmente gradevole se si tratta di lavoro. Arrivato a Hervey Bay nel primo pomeriggio di un giovedi di inizio gennaio, passo il resto della giornata a cercare lavoro negli ostelli; da ultimo, non potendolo visitare direttamente, telefono all'unico ostello su Fraser Island. Venerdi mattina ricevo una risposta affermativa da Fraser e sabato sono gia' sull'isola pronto ad iniziare come aiuto-cuoco al Fraser Island Backpackers.
Penso che per chi non ci sia mai stato, Fraser Island sia difficile da immaginare. E' lunga 120 kilometri, larga oltre 20, e composta unicamente di sabbia. E' ricoperta da una densa vegetazione, fatta di erba e cespugli lungo le coste, che si trasforma in foresta sub-tropicale man mano che ci si sposta verso l'interno dell'isola dove, insieme a maestosi pini di oltre 60metri, si cela una caratteristica unica al mondo: laghi di acqua dolce, alcuni incredibilmente cristallini, circondati da dune di sabbia bianchissima. Fraser Island e' chiamata dagli aborigeni K'Gari, che significa Paradise Island e non si fatica a capire il perche': l'abbondanza di acqua dolce e potabile, poiche' filtrata dagli strati di sabbia, e' incredibile; la natura e' splendida, selvaggia, incontaminata. I primi bianchi arrivati sull'isola hanno cercato di sfruttarne le risorse, soprattutto il prezioso legno, ma il terreno sabbioso rendeva difficile il trasporto degli enormi alberi abbattuti. Cosi l'isola e' rimasta in gran parte intatta e scarsamente popolata; poco meno di 500 persone hanno deciso di farne la propria casa.
Io sto a Happy Valley, una trentina di case a pochi passi dal mare, nascoste da una fila di dune. C'e' un piccolo negozio, due pompe di benzina, un ristorante, un telefono pubblico e una cassetta per la posta; tutto all'interno del resort dove lavoro. Il perimetro di Happy Valley e' interamente recintato, per difenderla da una delle insidie dell'isola: i dingo che, grazie all'assenza di cani su Fraser Island, sono tra i piu' puri d'Australia. Non che sia un animale particolarmente minaccioso, ma va comunque tenuto d'occhio perche' puo' diventare aggressivo se e' alla ricerca di cibo; una decina di anni fa un dingo ha attaccato e ucciso un bambino.
Fraser Island e' l'essenza della vita all'aria aperta: si campeggia sulla spiaggia, si pesca, si circola in 4x4 su strade di sabbia e si fa il bagno in torrenti d'acqua dolce. Qui tutto mi sembra grande: le lurcetole, i ragni, gli alberi, le onde del mare. Gia'; il mare. Le sue acque sono off-limits a causa di meduse, correnti maligne e squali. E' una strana sensazione, quella di averlo cosi vicino, di sentirlo sempre presente, anche di notte, quando solo in camera tua, a 200 metri dalla spiaggia, lo senti rombare in lontananza; quella di poter correre sulla sua spiaggia ma di non poterci entrare, di far parte di esso; come una forza troppo intensa per essere dominata.
Pur non avendo mai lavorato in una cucina riesco, nel giro di un paio di giornate, a prendere in mano la situazione. Quotidianamente, a pranzo, ci sono fino a 80 bocche da sfamare e io mi occupo della preparazione di un buffet freddo composto da svariate insalate, affettati, pollo arrosto e frutta. Insomma, un sacco di roba da tagliare ma, nel compenso, è una attivita' fattibile e le serate sono più leggere: a parte il fine-settimana, non c'è mai troppa gente. Oltre a cucinare, faccio anche i piatti e pulisco la cucina alla fine del servizio; a volte lavoro fino a quasi 12 ore al giorno!
Dopo la cucina, dopo il lavoro, c'e' Fraser Island e la sua natura selvaggia: una spiaggia, pressoche' deserta, sulla quale correre; un torrente d'acqua dolce nel quale fare il bagno; il relitto arrugginito di una nave, naufragata oltre settant'anni fa. Insieme ad una stanza singola e alla TV satellitare mi sento veramente su Paradise Island e ho la sensazione di diventare isolano, uno "del posto".
Passo 2 mesi interi a Fraser, tra giornate di lavoro e serate tranquille davanti all TV, talvolta intervallate da notti un poco piu' animate quando, insieme ai colleghi, spulcio tra le 20mile canzoni del jukebox del bar a cercare il perfetto mix festaiolo; pian piano si finisce tutti dietro al bancone del bar dove la birra scorre "libera" dalle spine. Notti di trasgressione che lasciano il segno: la cuoca e il suo ragazzo - il gestore del bar - litigano e si lasciano al termine di una serata alcolica: lei abbandona l'isola mentre lui viene licenziato, forse a causa dello spropositato consumo di free-drinks. La gestione del resort interviene; è pugno di ferro: nuova manager per il bar, niente piu' crediti per il jukebox, stop ai free-drink. L'abbacchiato personale si ritira quindi nei propri "quartieri" dove vengono organizzati periodici festini a base di alcol, importato a prezzi modici dalla terraferma, e TV con volume a palla sintonizzata su MTV. Basta poco per divertirsi; ma non toglieteci la "brocca della felicita'": un boccale da un litro, riempito con fondi di bottiglia (vodka, whisky, ecc), gassosa e manciate di ghiaccio, cosi denominato in onore di Happy Valley, da alzare al cielo, sotto una notte carica di stelle, come fosse la coppa del mondo!
Nei miei ultimi giorni su Fraser c'e' stata pure la minaccia di un ciclone tropicale, che si stava per abbattare sull'isola. Hamish (denominato in questo modo dai meteorologi australiani) ha risparmiato Fraser e si e' ridotto a spazzarla con forti venti che hanno costretto comunque a chiudere l'isola ai turisti per quasi una settimana. Il mare ingrossato si e' spinto fino alle dune, cancellando la spiaggia che, in condizioni normali, e' larga una cinquantina di metri. Me ne sono andato cosi, da un'isola semi-deserta, con il cielo grigio e il mare in burrasca; con le scarpe piene di sabbia, lasciatami in eredita' dall'isola sabbiosa piu' grande al mondo.
Di nuovo sulla terraferma non mi restano che 7 giorni in Australia; per trasferire i fondi, chiudere il conto corrente, fare la dichiarazione dei redditi e sperare in un rimborso delle tasse.
Poi sara' di nuovo Asia.

Quello che sara'

Penso che a questo punto sia veramente giunto il momento di porre la parola fine a questo blog, che ha raccontato la storia del mio viaggio da Mosca a Melbourne e oltre. Nei prossimi 5 mesi saro' di nuovo sulla strada: viaggiero' dall' Australia all' Italia passando per Malesia, Indonesia, Thailandia, India, Pakistan, Iran e Turchia. Se tutto procede bene, dovrei arrivare in Lombardia nell'ultima settimana di agosto. Oltre a viaggiare non ho ancora deciso cosa faro' nel corso di questo periodo. Sento di avere ancora voglia di scrivere un poco e a tal proposito ho creato il blog posto che vai
L'idea e' quella di raccontare il paese nel quale sto viaggiando con notizie, curiosita', aneddoti. Forse scrivero' di meno e cerchero' di inserire un maggior numero di foto e video (connessioni internet permettendo). Sara' quindi meno "diario di viaggio" e piu' "documentario".
Vi invito a selezionarlo tra i vosti siti preferiti e... continuate a seguirmi!
Grazie e ciao
Rene'


mercoledì 3 dicembre 2008

Si chiude un capitolo

Non lasciatevi ingannare dalla data. Anche se il post è datato 3 dicembre, la narrazione del viaggio è ferma al primo fine settimana di ottobre.

Lorenzo è partito, destinazione Sydney. Io mi fermo a Melbourne, a riorganizzare idee e cercare un lavoretto. Sabato scorso abbiamo festeggiato, con una lunga notte, la fine del nostro viaggio in auto da Perth a Melbourne: birre al pub nel tardo pomeriggio, una cena a base di specialità thailandesi, la notte in discoteca e l’alba al Revolver, un locale storico di Melbourne che da venerdi sera a lunedì mattina è sempre aperto. Per molti clubbers questa è “l’ultima spiaggia”.
A Melbourne è primavera, tira un sacco di vento, il cielo è coperto, gli scrosci d’acqua sono frequenti ed è periodo di corse ippiche. La città è animata, interessante, con una scena culturale e musicale vivacissima. Dal mio ostello, ricavato da un vecchio convento, posso raggiungere a piedi Brunswick Street, nel quartiere di Fitzroy, dove si concentrano numerosi pub e locali di musica live. Qui il ritmo, soprattutto nei fine settimana, si spinge fino ai marciapiedi, dove hanno luogo concerti improvvisati.
Ben presto ho anche trovato un lavoro: per due settimane monterò tendoni e gazebo all’ippodromo di Geelong, una città 80km a ovest di Melbourne.
Arrivo a Melbourne… lascio Melbourne. Chiudo un capitolo. Il viaggio da Mosca a Melbourne, la lunga traversata asiatica via terra dalla Russia all’Australia, è terminata. Il vento che aveva gonfiato le vele ha smesso di soffiare. La nave è in porto, ormeggiata. Salperà ancora?

3 dicembre 2008, Villa d’Adda, Italia.
Sono tornato a casa da alcuni giorni. Riabbraccio famiglia e amici; tante emozioni, vecchie e nuove. Ho deciso di ripartire: dal treno del viaggio, una volta messo in moto, è difficile scendere.
Torno in Australia; voglio passare ancora un po’ di tempo nel selvaggio outback e confrontarmi con i suoi spazi sterminati, le asprezze, il clima torrido, le mosche intollerabili e venire ripagato da tramonti che infiammano l’orizzonte e albe che sanno di rinascita. Sarà un periodo di lavoro, prima di ripartire per l’Asia dove la rotta verso l’Europa mi porterà a rivedere Paesi amati (Indonesia) e ad esplorare nuovi territori (Iran).
Tra poco sarò nuovamente in viaggio.
René

martedì 18 novembre 2008

In auto fino a Melbourne

La macchina di Lorenzo e' una Mitsubishi Magna. Una berlina bianca con il bagagliaio e i sedili posteriori strapieni di roba; l'assetto, di conseguenza, e' molto ribassato. Gli ammortizzatori, mi spiega Lorenzo, hanno da tempo smesso di fare il loro lavoro. Ogni buca, ogni avvallamento della strada, e' una botta secca. L'acquisto dell'auto a Darwin e' stato un affarone: 1200 dollari australiani; difficile trovare qualcosa a meno. Il mezzo deve arrivare fino a Sydney e ce la fara'. Lorenzo ne e' convinto. Lo sono anche io.
Il primo tratto del viaggio ci porta a sud di Perth, nella zona di Margaret River, nota per la produzione di vino e le onde da surf. Viaggiamo veloci e piu' di una degustazione non ci scappa. Nel corso della prima notte facciamo conoscenza con quella che sara' una costante del nostro viaggio: la pioggia.
L'indomani e' il giorno delle scalate: su per il faro di Augusta, sulla punta sud-ovest dell'Australia, dove l'Oceano Indiano incontra il Southern Ocean; e gli alberi giganteschi di Pemberton (i karri), spazzati dal vento. Quest'ultima, e' una ascesa da brivido; una scala a chiocciola, ottenuta piantando dei tondini di ferro nella corteccia degli alberi, permette di raggiungere una piattaforma di osservazione a 60 metri, sulla cima dell'albero che, il vento, fa oscillare paurosamente. Confesso che mi tremavano le gambe.
Continuiamo a seguire la linea della costa, rincorsi dalla pioggia. Ora siamo a Esperance, che si vanta di avere le spiaggie piu' belle dell'Australia. Le ho viste al mattino, con una tazza di the in mano mentre un timido sole cercava di farsi strada tra le nuvole ed il mare increspato spumeggiava sulla spiaggia di sabbia bianca. Non ho ancora visto abbastanza dell'Australia per decretare che questi siano i litorali piu' belli. Intanto ne faccio un'istantanea mentale.
La traversata da ovest a est ci porta poi sui lunghissimi rettilinei del Nullarbor Plain: la piana senza alberi; un deserto di cespugli rinsecchiti, sabbia e polvere. Qui si trova il tratto di strada senza curve piu' lungo dell'Australia: 146km. Un cartello ci ammonisce di fare attenzione a canguri, cammelli e wombats. Non ne vedremo. Ci accorgiamo invece dell'innalzamento del prezzo della benzina. Dagli 1,40 dollari di Perth siamo gia' passati agli 1,90 e passa. Per migliaia di km non incontriamo paesi ma solo roadhouses a un centinaio di km l'una dall'altra. Ci si ferma per il rabbocco di benzina, una pisciata e, se si e' in vena di spese, un gelato.
La costa sud dell'Australia e', per lunghi tratti, una spettacolare scogliera. Qui, nella stagione giusta, si avvistano le balene con i loro piccoli intenti a farsi i "muscoli" prima della grande traversata verso i mari dell'Antartide. Si vedono a occhio nudo, dalla costa, perche' sono proprio li vicino, ad una cinquantina di metri da te.
Poi, con uno stacco netto, le alte scogliere lasciano il poste a delle enormi dune di sabbia dorata dalle dimensioni sahariane. Io e Lorenzo prima le scaliamo e poi ci mettiamo a tirare calci volanti saltando da una parte all'altra della cresta. In cima ad una duna di sabbia tutti torniamo per un attimo bambini.
Al passaggio di Stato - dal West al South Australia - consegniamo alcune cipolle e una manciata di aglio: leggi di quarantena vietano infatti l'introduzione di frutta e verdura.
Sulla penisola di Eyre dirotto Lorenzo verso l'unica colonia di leoni marini del continente australe (le altre colonie sono su isole al largo della costa). Giungiamo al posto dopo kilometri e kilometri di strada sterrata. Povera Mitsubishi, messa a dura prova dall'impervio terreno; ma al parcheggio lei e' a testa alta, unica tra un esercito di jeep 4x4. Questa giornata si conclude con l'accampamento piu' scenico del viaggio: siamo in cima ad una collina, con vista su un braccio di mare, le luci di Port Augusta che si perdono in lontananza, a ridosso della cresta di cime delle montagnose Flinders Ranges .
Una mezza giornata di guida e siamo gia' ad Adelaide. Qui cambiamo una gomma (la traversata del Nullarbor Plain ha lasciato il segno) ed esploriamo la vicina regione vinicola della Barossa Valley, la piu' antica e famosa dell'Australia. In breve tempo visitiamo 4 cantine e degustiamo 24 vini. Dire che siamo euforici e' poco. D'un tratto le colline della Barossa ci sembrano quelle del Chianti e le australiane che incrociamo improvvisamente tutte fighe. E' l'effetto del vino su due che sono stati troppo a lungo lontani dall'Italia.
Dalle stelle alle stalle. L'accampamento notturno al parco nazionale di Coorong e' bestiale. Siamo su una fetta di terreno a ridosso di una laguna. Oltre le acque solo una fila di dune e poi il mare. Il posto e' infestato da insetti e zanzare. Siamo costretti a montare la parte interna della tenda (la zanzariera) e a nasconderci dentro per cucinare e mangiare. Roba da contorsionisti.
Prima di arrivare nello stato di Victoria e spostare le lancette dell'orologio avanti di mezz'ora, facciamo una foto ricordo sotto l'aragosta gigante (una statua) di Kingston. Una delle tante pacchianate turistiche nelle quali ti puoi imbattere in Australia (c'e' anche il Koala gigante, la banana gigante, l'ananas gigante, la carrucola gigante... continua...).
Abbiamo viaggiato soli per una decina di giorni, nelle enormi distese australiane, nel vuoto, lungo sterminati rettilinei, a salutare ogni macchina che incrociavamo. Noi, con solo vento, pioggia e polvere a farci compagnia. Ora, con Melbourne alle porte, abbiamo tanta gente intorno e ci sembra strano. Ai 12 Apostoli c'e' un andirivieni continuo. I possenti faraglioni si trovano lungo una delle maggiori attrazioni turistiche del Paese: la Great Ocean Road. Di Apostoli ne saranno rimasti ormai solo sette o otto, sempre spettacolari, costantemente flagellati dalle onde, precari, sul punto di crollare, da un momento all'altro. I display informativi del Visitor Center gia' lo dicono: un giorno non ci sara' piu' nessuno dei 12 Apostoli. Quel giorno l'ufficio marketing dell'ente turistico australiano annuncera' che gli Apostoli sono risorti altrove, magari lungo le coste inesplorate del Western Australia o a pochi passi da Sydney. Geni della promozione. E la gente abbocca; in massa.
4 ottobre 2008. Una Mitsubishi Magna bianca, insieme a tante altre auto percorre l'autostrada da Geelong a Melbourne. Meno 80, meno 50, meno 30 kilometri. Piove, c'e' nuvoloso e fa freddo. La skyline di Melbourne sbuca dalla foschia.

Una volta in citta' ci stabiliamo in un campeggio nel quartiere periferico di Coburg.
Sono arrivato a Melbourne, dopo quasi 15 mesi di viaggio, ma non e' ancora tempo di tirare conclusioni.
Rene'

mercoledì 5 novembre 2008

A Perth e Freemantle

Perchè Perth non mi impressiona? E' una città molto nuova. C'è un centro relativamente compatto fatto di grattacieli ed edifici commerciali con due strade pedonali sulle quali si affacciano i negozi. A piedi si gira il tutto in un' ora e gli edifici “storici”, quelli con piu' di 100 anni si devono cercare con molta attenzione. Sono stato una volta in centro di notte, al cinema: la sala era mezza vuota e le strade, di giorno affollate di colletti bianchi, erano deserte. Le serate, ho poi capito, non si passano qui ma a Northbridge, una breve passeggiata dal centro, dove c'e' un'alta concentrazione di ristoranti e pub giganteschi. Le licenze per la vendita di alcolici sono infatti molto care nello Stato del Western Australia e ciò spiega le dimensioni dei locali: piu' gente ci sta dentro, piu' drink si vendono. Oltre i confini del centro e di Northbridge si estende il resto della citta': una successione di villette unifamigliari con giardino, centri commerciali, impianti sportivi e parchi. Nel complesso, parecchio impersonale. Tenendo conto che a Perth vivono alcuni milioni di abitanti la cosa fa si che la citta' si espanda su una superficie impressionante, mettendo in mostra quello che è il lifestyle dell' australiano medio: casa, giardino, barbeque, pick-up e, se le finanze lo permettono, barca.
A Perth mi congedo da Arthur, che riprende il viaggio in macchina verso Sydney, e mi vedo con Andrea, un amico di Como, che lavora da alcuni mesi alla University of Western Australia. Un incontro molto gradito! Posso pernottare nel soggiorno del suo appartamento e mi godo un po' di privacy dopo settimane di vita d'ostello. Passiamo serate a chiaccherare, cucinare, bere birra e vino rosso. Si tirano facilmente le ore piccole, noi, gli unici a tenere la luce accesa in una citta' che va a letto presto e si sveglia alle 5 di mattina per fare jogging. Perth, mi spiega Andrea, e' cosi: grande, efficiente ma ancora molto provinciale. Cosi alla sera, in cerca di un po' di movimento, andiamo a Freemantle, una cittadina ormai inglobata da Perth, sul mare, a 30 minuti buoni di treno dal centro. Qui si respira un'aria piu' libertina, aperta e creativa, data dal fatto di essere centro portuale e casa di artisti e spiriti liberi. A Freemantle inoltre c'e' il birrificio della Little Creatures, che produce birre di ottima qualita'. Accanto allo stabilimento hanno costruito una grande dining hall dall' accattivante aspetto industriale. Oltre enormi vetrate si ha l'impressione di poter quasi toccare le luccicanti cisterne e le tubature che processano il liquido ambrato.
Con Andrea passo una settimana intera prima di stabilirmi a Freemantle e tornare alla vita, spersonalizzata, dell'ostello. Una scelta dettata, oltre alla vicinanza del birrificio, dalla maggiore personalita' del posto rispetto alla sensazioni anonime, piatte, percepite a Perth. Snocciolo così le giornate di un'altra settimana, tra librerie, cappuccini e DVD all'ostello. L'esperienza piu' attiva che mi concedo e' una gita in barca di 2 ore ad avvistare balene. È bello vederle così da vicino, a breve distanza dallo scafo, anche se i basculamenti causati da un mare capriccioso danno filo da torcere al mio stomaco. La cosa mi indispone al punto da non riuscire a scattare foto. Un peccato.
Finalmente arriva Lorenzo, conosciuto a Darwin alcuni mesi fa, che, con la sua macchina, si e' appena sparato tutta la West Coast. Con lui mi appresto a coprire l'ultima tratta del mio viaggio; la meta, Melbourne, e' ormai in vista.
Rene'

martedì 28 ottobre 2008

Lungo la West Coast

A Broome, di fronte ad un paio di birre, saluto Rusty, l'amico australiano che mi ha aiutato a trovare il lavoro nelle Kimberley. Sono pronto ad aggregarmi ad un ragazzo israeliano, Arthur, che sta viaggiando verso Perth. Partiamo a fine agosto sulla sua Ford Fairmont bianca stracarica di roba; una station wagon degli anni 90 in ottime condizioni.
Con Broome alle spalle e una decina di kilometri percorsi siamo gia' in mezzo all'outback, l'Australia selvaggia, deserta: niente radio, il cellulare che non prende, poche auto e distese di cespugli e terra rossa a perdita d'occhio. La strada segue la linea della costa e si trova a pochi kilometri dal mare, ma e' una certezza che ci e' data unicamente dalla cartina; intorno a noi il paesaggio e' monotono, la strada e' dritta e di acqua non se ne vede. Per raggiungere la spettacolare e lunghissima Eighty Mile Beach bisogna lasciare la highway e percorrere alcuni kilometri di strada sterrata. La spiaggia di sabbia bianca e' popolata solo da uccelli e alcuni pescatori. Scatto qualche foto e raccolgo una conchiglia ricordo di una delle spiaggie piu' lunghe al mondo.
Port Hedland, il prossimo centro abitato (sui 15mila abitanti), si trova a 600km da Broome. Qui ci fermiamo solo per fare provviste e benzina. Lasciamo infatti la costa per raggiungere il Karijini National Park che, personalmente, considero il paesaggio australiano per antonomasia. Passiamo due giorni a camminare tra stretti canyon rocciosi, torrenti, cascatelle ed eucalipti. Alla sera, il sole in tramonto esaspera drammaticamente il colore rosso delle roccie e pennella di viola alte nuvole stratiformi; un crepuscolo da fine del mondo. Dopo il piattume della costa gli altopiani del Karijini con i suoi imprevedibili torrenti, le strette e profonde ferite scavate dall'acqua, i punti panoramici, i precipizi verticali e le spettacolari dimensioni e colori della roccia sono un piacere per gli occhi. La terra australiana ci avvolge e si incastra in uno dei nostri pneumatici, lacerandolo. Il successivo acquisto di una nuova ruota a Tom Price, nel profondo West, non si rivela un'operazione economica.
Dall'entroterra ritorniamo verso la costa e facciamo tappa ad Exmouth un luogo significativo per la sua posizione: e' dove la costa, dopo essersi snodata a ovest di Broome, "vira" decisa verso sud e Perth. A Exmouth inizia il Ningaloo Reef, la barriera corallina della West Coast, decisamente piu´piccola di quella “Grande” lungo la costa orientale ma sicuramente piu´accessibile; bastano un paio di pinne e un boccaglio. I coralli si trovano infatti ad un centinaio di metri dalla spiaggia. Unico inconveniente – e non da poco – le dispettose correnti sottomarine che generano un pericoloso effetto risucchio impedendo, talvolta, il ritorno alla battigia. Oltre al Reef il posto si distingue per una base navale e una selva di radio antenne statunitensi.
Poco lontano dalla cittadina e dalle radiazioni una piccola collina ospita un grazioso faro. Al tramonto, da questa altura, scorgiamo enormi megattere in migrazione. Stanno ritornando con la prole verso i mari dell´Antartide dopo essersi riprodotte al largo della costa nord occidentale dell´Australia. Con un po´ di fortuna, oltre alle pinne e agli sboffi delle balene, si puo´ scorgere qualche salto (che giustifica la loro denominazione inglese di humpback whales).
Exmouth mi da un po´ la sensazione di “fine del mondo”, ultimo bastione colonizzato, oltre al quale non c´e´ piu` nulla. Sensazione data dal fatto di trovarsi all´estremo settentrionale di una stretta penisola con niente intorno se non l´immenso vuoto australiano. Da qui ci spostiamo a sud di oltre 700 km fino a raggiungere Shark Bay e Monkey Mia. Un`altra zona sperduta, dal nome inquietante e ricca di fauna acquatica: squali - ovviamente - delfini e dugongs che, alimentandosi delle enormi distese sottomarine di alghe, vengono ribattezzati le “vacche del mare”. Monkey Mia e´ famosa perche´ lungo le coste di questa baia puntualmente, ogni mattina e da oltre 30 anni viene in visita un gruppo di delfini. La cosa ha giustificato la nascita di un resort sulla famosa spiaggia e i delfini vengono ora nutriti da un gruppo di ranger tre volte al giorno. Secondo alcuni una pratica scorretta ma va pur considerato che il turista che si spara migliaia di km per raggiungere questo posto unicamente per scorgere da vicino i delfini, una volta arrivato... li vuole poi vedere!
Continuando il viaggio verso sud la vegetazione brulla e semidesertica dell´ outback lascia progressivamente posto a pascoli, campi e boschi. In Australia e´ primavera e i dintorni di Kalbarri sono vivacizzati dalle molteplici colorazioni dei fiori selvatici. Distese colorate a perdita d´occhio. Un paradiso per gli appassionati.
Kalbarri e´ a un giorno di macchina da Perth e la cosa si percepisce passeggiando per le strade di questa cittadina. Una graziosa localita´ di villeggiatura animata dai vacanzieri del fine settimana che, dopo avere passato una giornata di pesca d`altura, riempiono ristoranti e bar. A nord e a sud del paese la costa e´caratterizzata da alte scogliere, modellate dalla furia di vento e acqua. Kalbarri e` l´ultimo posto dove si respira la tranquilla, indolente aria della cittadina di provincia, prima di arrivare a Perth, la metropoli dove risiede l´85% della popolazione dello stato del Western Australia.
Lungo la strada ci fermiamo una ultima volta per vedere il Pinnacle Desert, cosi chiamato per via delle roccie monolitiche che, a centinaia, spuntano dalla sabbia poco lontano dal mare. Un posto misterioso e interessante e, come molte delle attrazioni australiane, facilmente accessibile in macchina: si puo` persino fare lo slalom tra i pinnacoli.
A 12 giorni di distanza da Broome ecco comparire all`orizzonte la skyline di Perth: i grattacieli della CBD, il Central Business District. Per la prima volta dopo mesi vedo tante auto tutte insieme, traffico, persone che affollano marciapiedi. Perth è la prima citta' con milioni di abitanti che visito in Australia e la prima impressione non e´ entusiasmante.
Rene'

mercoledì 22 ottobre 2008

Di ritorno a Broome

I giorni passano. Volano. Sei settimane trascorrono in fretta. E' il 22 agosto e ho lavorato per 35 giorni, circondato dall' immenso bush. Spesso ho sentito il bisogno di muovermi, di esplorare quello che mi sta intorno; di impulso sarei partito a piedi, inseguendo l'orizzonte, con la voglia di scoprire cosa si trova oltre quella collina, al termine di quella radura o cosa nasconde quel gruppo di roccie. Un viaggio impossibile, folle, che sarebbe terminato presto per mancanza di cibo o acqua. Solo fantasie della mente, innescate dall'isolamento del luogo.
Ora mi appresto a tornare, come si suol dire, alla civilta', in un modo particolare. Dalla fattoria di Drysdale River (a 60km dal camp) mi imbarco su un piccolo aereo, atterrato da pochi minuti: sta consegnando la posta in angoli sperduti delle Kimberley. Il pilota-postino, Aron, ha 22 anni e ne dimostra 18. Mi dice che vola da 3 anni: sono nelle sue mani. L'aereo e' minuscolo: bi-elica, 8 posti e tanti pacchi da consegnare. Dopo avere lasciato Drysdale River planiamo su altre due fattorie, Doongan e Theda, sulle comunita' aborigene di Kalumburu e Oolbungurri, prima di arrivare alla cittadina di Wyndham e raggiungere la destinazione finale di Kununurra. Quattro ore di sali-scendi, vuoti d'aria, piste d'erba o di terra battuta, con una mano sul sacchetto per il mal d'aria e lo sguardo incollato al finestrino. Sotto di noi, infinite distese di terra brulla e roccia, serpentini corsi d'acqua e mandrie di bestiame: siamo i postini dell'aria. Ad ogni atterraggio scambiamo qualche parola con gli abitanti del posto, beviamo un bicchiere d'acqua, rabbochiamo carburante e poi ci congediamo, fino alla prossima consegna; Aron, in quest'area di remota Australia, lo fa gia' da due anni.
Quando arrivo a Kununurra, con il viso candido come quello di un lenzuolo, ho l'impressione di venir travolto da una ondata di rumore. E' strano, forse improbabile, dato che mi trovo in un sonnolento paese di 6mila anime. Tuttavia il cambiamento, da nulla a molto, e' drastico. Da una tenda singola circondata da natura incontaminata, alla camerata di un ostello. Mi lascio andare a sensazioni nostalgiche, ricordando fresche albe e brucianti tramonti; stavo meglio ieri, penso, ma ho comunque voglia di viaggiare, di tornare al movimento. L'indomani sono gia' su un pullman con destinazione Broome; 13 ore e mi ritrovo dove avevo cominciato, giusto un mese e mezzo fa. Davanti a me si distende tutta la west coast e la bellezza di almeno 3mila kilometri prima di arrivare a Perth.
Rene'