venerdì 30 maggio 2008

Ritorno in Malesia

Malesia, villaggio di Cherating. Torno da Singapore con i ricordi delle serate con Teo, una nuova macchina fotografica e un visto di 60 giorni per l'Indonesia.
Cherating si trova lungo la costa est malese, nei pressi di una lunga spiaggia di sabbia bianca dove, occasionalmente, vengono a deporre le uova delle grosse tartarughe. E' un posto molto tranquillo dove mi fermo per alcuni giorni in totale relax. Ci sono pochissimi viaggiatori stranieri e la spiaggia e' per lo piu' frequentata da malesi. Ho quindi l'occasione di osservare come ci si comporto al mare in un paese musulmano. Per i bambini non ci sembrano essere regole particolari: gli ho visti da interamente vestiti a completamenti nudi. Gli uomini, solitamente, sono in t-shirt e bermuda mentre le donne sono interamente vestite con abiti tradizionali, velo incluso, e in questo modo fanno pure il bagno! Zero esposizione di parti corporee al sole. Non mi aspettavo un atteggiamento tanto conservatore in spiaggia...

You are in the jungle baby...

Da Cherating mi sposto verso ovest e raggiungo l'interno del paese, il cuore della penisola malese. Qui si trova il rinomato Taman Negara National Park: un fazzolettone di foresta pluviale primaria popolato da tigri, elefanti e rinoceronti asiatici, serpenti e un sacco di insetti. Il quartier generale del parco lo si raggiunge al termine di 2 ore di longboat (stretta e lunga imbarcazione di legno) lungo un tortuoso e largo fiume dalle acque marroni; nell'insieme, fa molto "avventura amazzonica".
Che siamo nei pressi di una giungla ci vuol poco a capirlo; basta dare una occhiata alla vegetazione, impenetrabile, che lambisce il fiume; messaggio rinforzato una sera mentre cerco di prender sonno nel mio bungalow: un urlo terrorizzato al femminile; chissa' cosa avra' visto... spero non un serpente. Chiudo gli occhi e cerco di non pensarci.
Non ho ancora avuto occasione di esplorare una foresta pluviale e sono molto curioso. Decido quindi per un 2 giorni con 1 notte in un rifugio nella giungla. Parto con un piccolo zaino contenente 2 set di abiti (uno da utilizzare di giorno e uno per la sera), 3 pacchetti di riso in bianco per i pasti, da abbinare alle scatolette di tonno, piu' una confezione di biscotti e del succo d'arancia per la colazione. La prima giornata e' leggera. Risalgo il fiume in barca per 1 ora fino a raggiungere un gruppo di bungalows, ora in disuso, appartenenti alle autorita' del parco. Saluto il barcaiolo, ispeziono con lo sguardo le capanne di legno quasi completamente risucchiate dalla vegetazione, poi mi concentro sul sentiero che, di fronte a me, sparisce nella giungla. Sono solo.
Il percorso fino al bun-bun kanbun, il mio rifugio per la notte, e' fangoso ma non troppo difficoltoso. Dopo 5 minuti di cammino sono gia' bagnato fradicio con sudore che gocciola da tutte le parti. Gli alberi intorni a me sono altissimi e le fitte chiome formano un tetto naturale che blocca i raggi del sole e costringe il sottobosco in una scura penombra diurna. Circondati dalla vegetazione si perde facilmente il senso della direzione; non si capisce se si stia andando a est, a ovest, a nord o a sud; non ci sono punti di riferimento da seguire e se ci sono, non si vedono; servirebbe una bussola o quell' innato istinto per l'orientamento possieduto da chi e' nato e vive da queste parti. Io mi limito a seguire il sentiero, sicuro che, prima o poi, trovero' il rifugio. Ci arrivo dopo 1 ora e mezza e un paio di chilometri. E' una piccola casa, costruita su 4 piloni di cemento alti oltre 2 metri. All'interno ci sono 2 file di 4 letti a castello, senza materassi, e uno dei lati della camerata ha una grossa apertura che da su una piccola radura all'interno della foresta. Scelgo uno dei 16 letti, ci poggio la mia roba, mangio una razione e poi decido di esplorare i paraggi. Seguo il sentiero dal quale sono venuto e mi addentro ancor piu' nella giungla. Il rumore degli insetti fa da sottofondo ai miei passi. Uno zzzzzzzz costante e continuo. Ascolto ma non riesco a vedere da dove proviene il suono. La stradina inizia a salire e scendere, attraversa piccoli torrenti e si fa via via fangosa. Quando le scarpe iniziano a sprofondare fino alla caviglia decido di tornare indietro. Sul tronco di un albero caduto mi fermo ad osservare una colonna di formiche; e' una autostrada a 8 corsie. Oltre alle formiche che si muovono ci sono 2 file, ai lati della colonna, di formiche che pattugliano, immobili, il flusso delle altre. Non ne avevo mai viste cosi tante in movimento. Lo stupore viene interrotto da un prurito alla schiena. Infilo la mano sotto la schiena, gratto, e la ritiro. Insanguinata! Sanguisughe, cazzo!
Ritorno al capanno e sfrutto la presenza di una cisterna di acqua sul tetto per farmi una doccia. Denudatomi scopro con orrore delle macchie di sangue sulle mutande. Ai miei piedi si muove una sanguisuga: c'e' l'avevo sulle chiappe! Ahhhh! Mi avvento sull'essere, ingrossato di sangue, e lo brucio con l'accendino.
Piu' tardi, nel pomeriggio, arriva una coppia di trekker olandesi insieme ad una guida del posto. Non passero' la notte da solo. Meglio cosi. I rumori della giungla stavano iniziando a rendermi paranoico.
Ceniamo e restiamo a lungo a fissare la giungla dall' apertura del capanno ma, oltre ad un uccello dalle piume colorate, non vediamo nulla.
Il mattino successivo mi sveglio indolenzito da una nottata sul legno. E' previsto il ritorno al quartier generale - 12 km di giungla - e mi aggreghero' agli olandesi; da solo non lo avrei fatto. Oggi la giornata e' tosta. Per prima cosa, vanno rimessi i vestiti, ancora umidi, di ieri. Poi c'e' il sentiero: fangoso, a tratti ripido e scosceso.
Le scarpe sono ormai mimetizzate con il terreno e la quantita' di sanguisughe e' impressionante. Stanno li in attesa, sulle foglie morte in mezzo al sentiero, e, quando sentono dei passi, si rizzano attacandosi alle suole delle scarpe. Da qui iniziano a salire, velocemente, sulle gambe in cerco di uno spiraglio nel quale infilarsi per raggiunger la pelle e iniziare a succhiare. Ne ho addosso in continuazione e ho da tempo smesso di osservare la giungla per concentrami sulle gambe e sulla mia personale guerra contro le bestiaccie. Praticamente passo il tempo a staccar sanguisughe dal corpo e la cosa non fa che innervosirmi. Umidita' opprimente, sudore totale, vegetazione soffocante e tonnelate di fango non sono abbastanza? No! Non sembra esserci fine alle insidie della giungla; e' proprio un ambiente ostile! Gia', dimenticavo... abbiamo visto anche una vipera. Quindi, in due giorni, l'unico animale che vedo, oltre all'uccello colorato, e' un rettile che potrebbe uccidermi! Forse sono gli animali a osservare me e non io a scorgere loro; io vedo solo verde e marrone e sento zzzzzz in continuazione, come la frequenza vuota di una radio.
L'unico momento godibile della giornata e' il pranzo sul greto di un torrente, a petto nudo, i piedi nell'acqua e senza sanguisughe.
Giungo al quartier generale del parco alle cinque del pomeriggio, al termine di un massacrante, fangoso sali-scendi, con una certezza: la giungla non e' il mio posto.

Rene'

martedì 20 maggio 2008

La fredda ed efficiente Singapore

Un gigantesco edificio grigio, incrocio tra un casello autostradale e un autogrill sopraelevato: e' cosi che si presenta la dogana di Singapore, la citta' modello, tecnologica, efficiente, all'avanguardia, perfetta. Un cambio brusco, dopo l'allegra confusione delle altre metropoli del sud-est asiatico. Non c'e' nulla fuori posto. Tutto e' frutto di meticolosa programmazione. Vietato sputare per terra, attraversare la strada al di fuori delle striscie pedonali, masticare cicche, mangiare e bere sui mezzi pubblici, compiere atti osceni in luogo pubblico (un passionale bacio alla francese...): fioccano multe salate, da oltre 200 euro. A volte ho la sensazione di trovarmi in un terminal aeroportuale o in un ospedale: la citta' e' fredda, senz' anima. E' questo il prezzo da pagare per vivere in un luogo perfetto? Di centri commerciali e shopping malls ne basterebbe la meta' e il quartiere di Chinatown, bello pulito e ordinato, e' piu' roba da Disneyland.
Al Museo d'Urbanistica non nascondono l'obiettivo per il futuro prossimo: vogliamo essere la prima citta' al mondo per qualita' della vita; il luogo migliore per vivere, lavorare e divertirsi. Mentre all' Asian Civilizations Museum una didascalia accanto ad una vecchia foto di Singapore non esita a criticare l'eccessiva ricerca di modernita' che, a colpi di ruspa, cancella la storia della citta'.
Di Singapore apprezzo i food court, le arene gastronomiche: grandi sale al coperto con decine di chioschi che propongono specialita' locali di ottima qualita' (soprattutto cinesi) a prezzi accessibili. Meno godibile e' stato il tempo: 5 giorni di acquazzoni ad intermittenza; niente di anormale: dopotutto la citta' accarezza la linea equatoriale ed il clima e' classificato come "hot & wet". Tutto l'anno.

The Ball Room

A Singapore e' tempo di fiere e di incontri! Teo e' in citta' per il Salone del Mobile ed e' un grande piacere ritrovarsi con un amico dall'Italia.
Come d'incanto mi tolgo i sandali, infilo le scarpette rosse e da cenerentolo-viaggiatore mi trasformo in businessman per la gran serata del Ballo: e' la festa della Fiera, la cena degli espositori.

Il luogo: un grande salone presso un centro convegni. Un centinaio di tavoli da 8 persone. Al nostro, oltre a me e a Teo, c'e' una famiglia di Singapore (padre, madre e 2 figlie al seguito), due vietnamiti e una coppia di svedesi, padre e figlio, residenti in Indonesia. Il menu e' quasi nuziale; molte portate alternate a momenti di intrattenimento su un ampio palcoscenico. Tentiamo un approccio con le subitodue figlie ma dai lampi che saettano dagli occhi della madre capiamo che non e' cosa. Attacchiamo quindi bottone con gli svedesi ed entriamo subito in sintonia, complice la proverbiale efficienza singaporegna, nella fattispecie impersonata da camerieri super-attenti che non permettono mai al livello delle nostre birre di scendere oltre la meta' del bicchiere. Rotto il ghiaccio trovo pure il tempo per cimentarmi in un gioco sul palco: gara di ballo sulle note degli Earth, Wind & Fire; in palio una bottiglia di Dom Perignon. Purtroppo non supero la fase eliminatoria, ma in compenso conquisto le simpatie del tavolo.
Dopo quasi 3 ore, alle undici passate, la cena sta volgendo al termine. Cala il sipario sul palcoscenico e alcuni commensali iniziano ad abbandonare la festa; e' lunedi sera, dopotutto. I primi ad alzarsi dal nostro tavolo sono i componenti della famiglia di Singapore, seguiti a ruota dai vietnamiti. Restiamo io, Teo e gli svedesi. I rabbocchi di birra sembrano infiniti e cosi le conversazioni proseguono. Magnus e Lax - gli scandinavi - gestiscono una fabbrica di mobili in Indonesia e, da quanto capisco, possiedono anche un resort su un'isola al largo della costa settentrionale di Java. Mi dicono che devo andare assolutamente a trovarli quando saro' in Indonesia. Ci scambiamo indirizzi e numeri di telefono, appuntati sul biglietto di ingresso alla festa. Intanto intorno a noi si e' fatto il vuoto: tutti i tavoli sono deserti e nella enorme sala ci siamo solo noi 4 e un indaffarato gruppo di camerieri che sta sparecchiando e pulendo cio' che resta del party. Ma il flusso di birra non si arresta. Lax, il padre, finisce alla goccia un bicchiere di birra tiepido, appartenuto a Teo, nel quale naviga un gamberetto. Quasi ci inginocchiamo per l'ammirazione, sia per la performance che per l'ennesimo refill di birra fresca. Ci avviciniamo alle 2: il salone e' ormai pulito, i camerieri stanno finendo di lavorare e al nostro tavolo si parla di pesca d'altura. Spunta un pacchetto di sigarette... Campanello d'allarme. Fumare al chiuso a Singapore? Si rischia grosso! Meglio alzare faticosamente le chiappe e abbandonare barcollanti la festa. All'uscita ci infiliamo sul primo taxi capitato a tiro, verso la prossima tappa. Ci stiamo a malapena: Magnus e Lax sono due belve da oltre un quintale. Il tassista cerca di assumere un tono amichevole per tenere a bada sti 4 sbronzi che gli son finiti nella macchina. Non stiamo piu' parlando, stiamo urlando, mentre Magnus smanetta all'autoradio sotto lo sguardo preoccupato del tassista. Poco dopo... Orchard Towers, per i conosseurs "four floors of whores" e dalla bellissima storpiatura in italiano: orgia towers. Quattro piani di bar zeppi di ragazze. Noi facciamo poca strada ed entriamo nel primo locale a sinistra al pianoterra. Ci saranno non piu' di 10 clienti, tra i quali due signori inglesi che hanno ormai perso qualsiasi inibizione e si stanno agitando intorno ad un palo per la lap dance, e una ventina di ragazze. Anche se si e' in gruppo, una volta entrati in questi locali ci si ritrova irrimediabilmente soli. Gli svedesi sono stati dirottati verso un tavolo da due girls mentre io e Teo siamo da un'altra parte del locale, alle prese con le nostre due nuove amiche. Ci beviamo l'ultima birra della serata e poi salutiamo Magnus e Lax, che quasi non si accorgono della nostra dipartita immersi in chissa' quale conversazione con le ragazze.

Poco distante, seduti sui gradini all'entrata di un altro palazzo, cerchiamo una boccata d'aria fresca in questa calda notte; ridiamo quando concludiamo che "si, davvero, padre e figlio nel locale a luci rosse non si era mai visto"!

Prima di ritornare ai rispettivi alberghi, camminando lungo
Orchard Road
, tra centri commerciali e alberghi di lusso, una prostituta vietnamita incrocia i nostri passi e, puntando un dito verso il McDonald's, esclama: "buy me a sandwich, I am hungry!"
Rene'

mercoledì 14 maggio 2008

Tigre malese

Georgetown, costa ovest malese o meglio, isola di Penang. Sono arrivato in Malesia, alla fine; c'e' l'ho fatta; sopravvisuto alla Thailandia e alle sirene. Distratto come Ulisse nel viaggio verso Itaca. Sono riuscito a varcare il confine nel corso dell' ultimo giorno di validita' del mio visto thailandese: 30 giorni di spasso.
La prima cosa che mi colpisce della Malesia e' il suo mix culturale ed il fatto che tutti parlino benissimo inglese. Approfondisco. La Malesia e' una ex colonia inglese e una delle eredita' del passato coloniale e' un ottimo sistema scolastico.
L'integrazione pare perfetta: malesi, cinesi e indiani (i 3 maggiori gruppi etnici) sembrano convivere senza grosse frizioni. A Georgetown, oltre agli edifici che ricordano il periodo inglese, c'e' una Chinatown, una Little India e un kampung (villaggio) malese. Un mix di facce; un mix di sapori. La cucina malese mi piace fin da subito; soprattutto il modo nella quale si assapora nei ristoranti: si riceve un piatto fondo ricolmo di riso da completare a piacere servendosi ad un buffet con almeno 20 pietanze diverse. Il paradiso dei curiosi. Curry che ricordano l'India, sapori piccanti dalla vicina Thailandia, zuppe e tagliolini tanto popolari in Cina.
La Malesia e' un passo avanti rispetto alla Thailandia: maggiore ricchezza, macchine di grossa cilindrata, autostrade, pulizia e ordine. Da l'idea di un paese progredito. E si viaggia veloci. Gli epici traferimenti in pullman, cosi comuni negli altri Paesi, vengono per un attimo accantonati.
Con Markus, 21enne tedesco conosciuto sul minibus in viaggio tra Thailandia e Malesia, mi avventuro in alcune scorribande notturne a Gergetown. C'e' una via con una serie di discoteche vivaci e interessanti ma, rispetto alla Thailandia, non e' che qui veniamo cagati piu' di tanto. Che succede? Forse e' perche' siamo tornati in un paese normale? Beh, mi sa di si. Ci siamo divertiti comunque alla Ladies Night del mercoledi sera culminata in una specie di concorso "miss maglietta bagnata" tra gli sguardi estasiati di teenager malesi.

Carrambà...

Quante volte avete esclamato "certo che il mondo e' proprio piccolo"? Verissimo. Accade un giorno su un bus di linea verso l'unica spiaggia decente dell' isola di Penang; a meta' percorso sale un ragazzo; caspita, mi sembra di conoscere quel volto. No! No, non ci posso credere! E' Mihai, il ragazzo rumeno con il quale ho passato 9 giorni a Istanbul nel corso del Capodanno 2005/2006. Un incontro veramente incredible. Mi racconta che ha deciso di lasciare Bucarest alcuni mesi fa per trasferirsi in Malesia. Io gli parlo del mio viaggio e ancora non riesco a capacitarmi di questo incontro casuale. Forse ci rivedremo tra 1 settimana a Kuala Lumpur, o chissa' dove...
Dopo Gergetown faccio una sosta rinfrescante alle Cameron Highlands. Mi trovo a oltre 1500 metri sul livello del mare e il clima e' piacevomente fresco. Di notte ho quasi freddo ed e' la prima volta che mi capita, dopo i rigori dell' inverno cinese (allora era inizio dicembre, ora siamo ai primi di marzo). Finora il mio viaggio è stato - e continua ad essere - una lunga estate. Qui si ammirano le estese coltivazioni di the e si fanno gradevoli passeggiate nelle foreste circostanti. Le giornate passano abbastanza oziose, tra una leggera camminata mattutina, un DVD all' ostello nel tardo pomeriggio, e una paio di birre al pub alla sera. Detto cio', il fresco clima e' veramente l'unico motivo che mi trattiene tra queste colline; sara' perche' il mio fisico europeo proprio non vuole saperne di abituarsi ai 35 gradi con umidita' al 100%?
Un breve trasferimento in pullman-frigorifero (AC a palla!) e sono già a Kuala Lumpur, per gli amici KL, la capitale e citta' simbolo delle ambizioni malesi: le Petronas Twin Towers, per fare un esempio, sono state a lungo l'edificio piu' alto al mondo. Fa caldissimo e c'e' molto umidita'. Le strade sono congestionate, i marciapiedi sono una rarita' cosi come le striscie pedonali. Pero' c'e' la metropolitana e una monorotaia. Le passeggiate in centro si trasformano presto in imbarazzanti bagni di sudore. Durante il giorno sto quindi quasi sempre al chiuso, rinfrescato dall'aria condizionata di centri commerciali e musei. Meglio esplorare la citta' al calare del sole ed e' in una di queste serate che mi imbatto in Ronnie un simpatico quarantenne svedese dalle idee chiare sulle prossime tappe del suo viaggio. Ronnie alla prima birra: voglio andare in Borneo, fare trekking nella giungla e vedere gli orang utan, come ho detto a mio figlio prima di partire. Ronnie alla terza birra: forse e' meglio se vado nelle Filippine; ho sentito che c'e' un'ottima scena di musica rock dal vivo da quelle parti. Alla quinta birra esclama... Voglio tornare in Thailandia!Ronnie mi ha portato all' Hard Rock Cafe'; per hobby, in Svezia, canta in un gruppo rock che fa cover di Led Zeppelin e Black Sabbath; è un patito del genere. Pe darmene prova ogni tanto mi urla nelle orecchie dei prolungati acuti alla Joey Tempest; che tipo! E' deluso perche' all' Hard Rock di KL mettono quasi solo musica hip hop, alternata a un gruppo rock indonesiano che si cimenta in cover di tutto. Nel corso della serata conosciamo al bancone bar due simpatiche indonesiane (al lavoro); dopo un'ora Ronnie mi saluta frettolosamente e si dilegua con una ragazza. Dopo un'altra ora rientra nel locale solo la tipa; al che le dico "oh, ma me l'hai ammazzato?". Risate. Pero’ Ronnie non l'ho piu' rivisto.

Rene'

giovedì 8 maggio 2008

Full mooning

Pronto? Si. Do you speak english? Yes. Cerco un bungalow per una persona, ne avete? Mi dispiace, siamo al completo... Telefonate, telefonate, telefonate. Ne faro' almeno una quindicina prima di trovare alloggio su Ko Phangan, la terza isola che visto dopo Ko Samui e Ko Tao. La famigerata party island, dove si svolge mensilmente l'acclamato e iper-affolato Full Moon Party. Oddio, volendo, c'e' un party ogni settimana. Non contenti del solo Full Moon sono stati creati anche l'Half Moon, il Black Moon e il Jungle Party!
L'isola, per dimensioni, e' una via di mezzo tra Samui (grande) e Ko Tao (piccola) ed e' definita, giustamente, "la ribelle". Qui la festa e' senza fronzoli: alcol (a secchiellate) e musica a palla; niente ricerca di stile; ignoranza pura.
Il soggiorno l'ho calibrato meticolasamente secondo il calendario lunare, per beccarmi appunto il Full Moon Party. Inoltre spero di acchiappare due piccioni con una fava perche' dovrebbe essere sull'isola anche una ragazza thailandese conosciuta a Samui. Il condizionale e' d'obbligo perche' la tipa c'e' ma non si fa vedere ne' sentire e la cosa, insieme al tempo ballerino, quotidianamente indeciso tra sole e pioggia, inzia a darmi sui nervi.
Anche a Phangan mi equipaggio di scooter e parto alla perlustrazione dell'isola. Strade meno sconnesse rispetto a Ko Tao e meno traffico rispetto a Samui. Nel complesso molto godibile e con paesaggi appaganti.
Ogni isola ha la sua spiaggia svenduta al turismo (ristoranti, clubs, alberghi, agenzie, internet cafe'... insomma il solito circo) e qui trattasi di Had Rin. Contento di non averla scelta come base per l'alloggio. Semplicemente troppo affollata. Meglio raggiungerla di notte in scooter per fare il giro dei party in spiaggia. Un posto dove e' facile perdere ogni inibizione e tra un cocktail e l'altro puo' capitare che ti spunti un nuovo tatuaggio sul braccio o un piercieng al capezzolo (visto fare "live" praticamente a bordo strada, per la serie safety first).
E venne il tanto atteso giorno del Full Moon Party... Slittato di due giorni rispetto al previsto a causa di festivita' buddiste ed elezioni politiche. Sono carico, come tutti. Mi armo di secchiello di plastica riempito all' orlo di Thai whisky e Red Bull e discendo in spiaggia per il giro dei sound system. L'atmosfera e' elettrica, coinvolgente. La musica e' quello che e' - trance martellante o i soliti megamix rock-hip hop - ma chissenefrega, sono in Thailandia, su una spiaggia, la massa e' su di giri ed il bello e' questo: la folla, multicolore, multirazziale, con un solo obiettivo: party, party, party. Gente vestita, gente mezza nuda, ragazzi interamente colorati con tempere fluorescenti, giocolieri, mangiafuoco, fighetti, sfattoni, stranieri, thailandesi. Poco distante da me esplodono fuochi artificiali sulla spiaggia, tra la gente. Delirio, delirio! Dopo il secondo secchiello-cocktail i ricordi sono lampi nella notte: dirty dancing alla thailandese, l'incontro casuale con la ragazza conosciuta a Samui (tra 20 mila persone!), le scenate, il ritorno in taxi con due ragazzi californiani passato a parlare in spagnolo... L'indomani e' gia' tutto finito e sono sul traghetto che mi riporta sulla terraferma, lontano dalla movida thailandese. Terminano 30 giorni di feste, vizi, eccessi, sole, musica, donne. Bye bye Thailand, mi mancherai.

Rene'

giovedì 1 maggio 2008

Paradiso agrodolce

Pensieri strani mi attraversano la testa mentre navigo sull'aliscafo tra Ko Samui e Ko Tao. Alla televisione danno Ghostrider e miei occhi sono fissi sul viso allucinato di Nicholas Cage; il mare e' molto mosso e preferisco mantenere lo sguardo su un punto fisso; un giorno o l'altro mi comprero' una moto, penso.
Ripercorro per alcuni istanti i momenti più folli delle notti di baldoria a Chaweng: uno svedese che in discoteca mi urla nelle orecchie per 20 minuti come ammiri gli italiani per come hanno trattato Niels Liedholm. "In Svezia, quando è deceduto, pochi si sono ricordati di lui. Mi voglio trasferire in Italia e vivere a Milano" aggiunge, prima di lanciare in aria tra la folla il secchiello di plastica che conteneva il suo long drink e buttarsi in pista a ballare. Attimi dopo gli vedo mulinare la camicia mentre salta come un grillo.
E poi, gli sciami di transessuali all'uscita dai locali, bellezze di plastica, con seni enormi e labbra pneumatiche, appollaiate sugli scooter in attesa di sfrecciare nella notte con i clienti.
Ko Tao sara' diversa, penso, e difatti lo e'. Piu' piccola di Samui, e' diventato un centro internazionale per le immersioni subacquee. Qui si viene a fare, ad un prezzo stracciato, il brevetto PADI. Non che sia un sonnolento paradiso tropicale ma la vita notturna non raggiunge di certo gli eccessi di Chaweng. Ci sono una serie di locali allineati lungo la spiaggia di sabbia bianca di Sa Ree; a serate alterne, propongono feste a tema.
Sull'isola ci sono quasi solo backpackers e divers; pochissimi turisti thailandesi.
Al mio arrivo scopro che l'isola e' pressoche' fully booked. Ci sono decine e decine di bungalow resorts sparsi qua e la ma trovare una sistemazione soddisfacente e' arduo. Una notte la passo sulla costa est, lontano da tutti e da tutto, in compagnia solo di un rospo che ha deciso di passare la notte nel mio water, costringendomi a pisciare fuori dal bungalow. Mi trovo su una spiaggia isolata al termine di una ripidissima strada sterrata. Ci sono arrivato in jeep; impossibile fare avanti in dietro con lo scooter: troppo pericoloso. Splendido isolamente, certo, ma e' questo quello che voglio? Con non celato rancore dei gestori cambio subito sistemazione e torno sulla costa ovest. La seconda notte mi trovo in un rudimentale bungalow aggrappato sulle scogliere: con l'alta marea mi posso buttare in acqua dalla veranda. E' veramente basic: c'e' solo un materasso, reso urticante da anni di esposizione alla brezza marina, e una zanzariera. Oltre al fatto che un'onda anomala potrebbe spazzar via il mio giaciglio, c'e' un secondo problema: il mio vicino di casa.
F. mi confessa che in patria e' ricercato dalla polizia e che ha scelto di rifugiarsi a Ko Tao perche' non c'e' l'Interpol; dice di avere soldi a sufficienza per vivere all'estero per 7 anni. E' sera e ha acceso un piccolo focherello alla base del suo bungalow. Sta cercando di grigliare dei pezzi di pollo infilati su uno stecco di metallo arrugginito che ha trovato nel mare. Lo abbandono nell'impresa cosi come lascio, l'indomani, la traballante casetta sugli scogli. Stavolta punto in alto; basta con le sistemazioni in spiaggia: vado in montagna. E' cosi che trovo il Moonlight e finalmente posso stare fermo e tranquillo per 3 notti. Mi trovo ad un centinaio di metri di altezza e dalla terrazza-ristorante vedo una grossa fetta della costa ovest dell'isola, la baia che racchiude la bianca e spettacolare Sa Ree beach, tramonti da cartolina e due navi militari thailandesi; "che ci fanno?" chiedo. "Sono in cerca di immigrati clandestini, birmani", mi risponde il simpatico ragazzo thailandese che gestisce il posto; "non ne vedrai tanti in giro perche' adesso sono tutti rintanati nei boschi su per la montagna". Che siano qui per F. invece?
Anche a Ko Tao affitto uno scooter (dal barbiere del paese) e di giorno salto di spiaggia in spiaggia ad esplorare un sacco di piccole baie. A Shark Bay (di nome e di fatto) avvisto squali lunghi quanto una gamba e piu'. Pascolano tranquilli nell'acqua bassa a pochi metri dalla riva e non sembra siano molto interessati alla mia presenza. Li osservo, di sasso, senza fare movimenti bruschi. Non sono impaurito; forse e' perche' mi sono immerso avendo come unico scopo quello di avvistarli. Rido se penso che a volte basta un rumore improvviso o un'ombra a farmi scattare dalla paura mentre ora sono qui rilassato ad ammirare questi grossi pescioni.
Ma ecco il passo falso... Un giorno decido di portare in spiaggia anche la macchina fotografica; ho ancora troppe poche foto di vita marina. Esco a nuotare e... Spazz! Quando ritorno la macchina fotografica e' scomparsa; non il cellulare pero'. Quello e' troppo vecchio e non interessa a nessuno. Morale a terra. Cavoli, e' gia' la seconda che mi rubano! Denuncio il fatto alle autorita' locali. Alla stazione di polizia mi imbatto in una ragazza alla quale, nel corso del viaggio notturno da Bangkok a Ko Tao, hanno rubato lo zaino e i soldi. Poteva andarmi peggio, tutto sommato... Quel che mi resta di Ko Tao e' una bella incazzatura e una denuncia di furto (inutilizzabile, perche' non sono assicurato) scritta in caratteri thailandesi; buona da appendere al frigorifero una volta a casa!

Rene'